Sui Malavoglia

Avevo un bel dirmi che quella semplicità di linee, quell’uniformità di toni, quella certa fusione dell’insieme che doveva servirmi a dare nel risultato l’effetto più vigoroso che potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gli avvenimenti più umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non erano certo fatte per destare l’interesse ad ogni pagina del racconto, ma l’interesse doveva risultare dall’insieme, a libro chiuso, quando tutti i personaggi si fossero affermati sì schiettamente di riapparirvi come persone conosciute, ciascuno nella sua azione. Che la confusione che dovevano produrvi nella mente alle prime pagine tutti quei personaggi messivi faccia a faccia senza nessuna presentazione, come li aveste conosciuti sempre, e foste nato e vissuto in mezzo a loro, doveva scomparire man mano col progredire nella lettura, a misura che essi vi tornavano davanti, e vi si affermavano con nuove azioni ma senza messa in scena, semplicemente, naturalmente, era artificio voluto e cercato anch’esso, per evitare, perdonami il bisticcio, ogni artificio letterario, per darvi l’illusione completa della realtà.

Giovanni Verga sui Malavoglia in una lettera a Luigi Capuana, Milano, 25 febb. 1881

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