La bustina di Minerva

… a proposito degli articoli senza firma di questi giorni su La Repubblica: SE UN GIORNALE DIVENTA MUTO
Come tutti si saranno accorti, per vari giorni alcuni dei nostri principali quotidiani sono usciti senza firma degli autori - almeno nella misura in cui costoro non erano collaboratori stranieri od occasionali ma “pubblicisti” organici alla testata.
La decisione era dovuta a un’agitazione dei giornalisti professionisti a cui per solidarietà si sono uniti anche i. pubblicisti.
Sono stato in viaggio quasi tutto il mese e non ho capito se la regola valesse anche per i settimanali (per ragioni misteriosissime si trovano quotidiani italiani la mattina stessa anche a Timbuctu, ma a Parigi o a Zurigo i settimanali arrivano con almeno sette giorni di ritardo, quando va bene).
Se la regola vale anche per “L’Espresso”, sono pronto ad anonimizzarmi per solidarietà, anche se mi pare faccia un poco ridere una rubrica senza nome ma col ritratto - a meno che si sostituisca il ritratto con una pecetta nera.
Ma il problema non è personale. Sto riflettendo piuttosto alle mie sensazioni di lettore che si è trovato di fronte ad articoli per così dire acefali, dove qualcuno mi parlava e non sapevo chi fosse.
Qualcuno potrebbe obiettare: … «Ma scusa, un giornale dà le notizie e si spera che le dia in modo veritiero; se dunque la notizia che ti dà è importante e tu assumi che sia vera, che cosa t’importa chi l’abbia data?».
Obiezione ferrea se i giornali fossero tutti come quei fogli che si distribuiscono gratis alle stazioni, dove appunto ci si dice se c’è stato un nuovo attentato a Baghdad, che è caduta la neve a Lampedusa e sono cresciute delle banane a Stoccolma (casi ormai sempre più probabili) o che Berlusconi ha avuto un malore durante un comizio.
Ma ormai i quotidiani sono sempre meno così.Sono passati i tempi in cui si discuteva se la stampa fosse obiettiva e se o come si potessero separare i fatti dalle opinioni.
Mi ricordo furibonde seppur cordialissime discussioni con Piero Ottone, nel corso delle quali lui sosteneva un giornalismo che allora si chiamava “all’inglese”, in cui si separavano i fatti dalle opinioni (credo che Ottone si sia rassegnato, visto che ormai pubblica solo una colonna di opinioni), mentre io con altri sostenevamo che, anche là dove questa differenza sia formalmente rispettata (esempio principe il “New York Times”, dove le opinioni, firmate, sono solo nelle ultime pagine insieme alle lettere dai lettori, e il resto dovrebbero essere fatti), tuttavia anche mettere due fatti nella stessa pagina (per esempio due notizie che riguardano una rapina fatta da calabresi) diventa già il suggerimento di un’opinione, e che molti reportages anglosassoni in cui si citano tra virgolette due signori di opinioni opposte (sullo stesso fatto) sono sovente assai ipocriti, perché è il reporter che ha scelto chi citare e quale opinione rappresentare.
Ma il problema non riguarda più quella vecchia diatriba.
Il problema è che un giornale oggi si trova a dover parlare di fatti di cui ha già ampiamente parlato il telegiornale della sera prima (per non dire di chi va a pescare note fresche su Internet non ). E quindi può
 comportarsi come un giornale che (opinioni a parte) dà notizia di fatti, perché altrimenti il lettore non leggerebbe più i giornali. Si veda il “Corriere della sera” che nella pagina finale dà una sorta di sommari dei farti salienti del giorno prima. Ottimo, per chi ha poco tempo e non ha visto i telegiornali (ma se l’evento è notevole, al lettore potenziale è già arrivato un sms dell’amico).
Però, se quella fosse la funzione di un giornale, il “Corriere della sera” potrebbe essere distribuito gratis nelle stazioni in formato biglietto da visita e non credo che i capi della Rcs ne sarebbero molto contenti.
Io cito sempre due episodi. Uno è stato la strage di piazza Fontana. Quando è avvenuta io ero a New York (in effetti io mi diverto a collezionare alibi per tutti i delitti e stragi del secolo) e sono stato informato del fatto molto presto, calcolando che a New York erano sei ore prima. Preoccupato, ho telefonato a Milano e mia moglie, che non aveva ancora visto il telegiornale della sera, non ne sapeva nulla. Dico sempre che ho saputo della strage con sei ore di anticipo: non è vero, ma rende l’idea.
Tanti anni dopo. alle sei di sera un amico giornalista mi ha telefonato che era morto Craxi. Subito dopo mi ha telefonato per altre ragioni la mia segretaria e mi è parso interessante darle la notizia. La sapeva già, qualcuno gliela aveva data per telefonino. Ho telefonato a mia moglie: la sapeva già, gliela avevano telefonata prima che la televisione ne parlasse. Ditemi voi allora a che serve un quotidiano.
Un quotidiano serve ormai a fasciare di opinioni i fatti. È quello che ora gli chiediamo, e se tratta di opinioni sui fatti vogliamo sapere chi esprime quella opinione, se è un autore di cui ci fidiamo, o uno scribacchino che abitualmente disprezziamo. Per questo un giornale che sciopera eliminando le firme diventa muto - il che significa che la protesta sindacale ha qualche rilievo.

Umberto Eco, La bustina di Minerva, L’Espresso 14 dicembre 2006

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