Lettere d'amore

Se per amare intendi voler prendere da questo doppio contatto la spuma che vi galleggia sopra senza smuovere la feccia che può esservi al fondo, unirsi con un insieme di tenerezza e di piacere, essere incantati di vedersi e lasciarsi senza disperazione (mentre non si era disperati; neppure quando si abbracciavano nella cassa i propri cari più teneramente amati), poter vivere l’uno senza l’altra, poiché si vive ben privi di tutto quello che si desidera, orfani di tutto quello che si è amato, vedovi di tutto quello che si sogna, eppure provare a questi incontri degli smarrimenti che fanno sorridere come per uno strano solletico, sentire infine che questo è venuto perché doveva venire e che passerà perché tutto passa, giurandosi anticipatamente di non accusare né l’altro né se stesso, e, in mezzo a questa gioia, vivere come al solito, solo un po’ meglio, con una poltrona di più per appoggiare il nostro cuore i giorni di stanchezza, senza che per questo si sia molto più divertiti di alzarsi tutte le mattine; se ammetti che si possa amare e al tempo stesso essere presi da una smisurata pietà paragonando le ammirazioni dell’amore a quelle dell’arte, avendo per tutto quello che vi fa riappartenere all’organismo di quaggiù uno sdegno ironico e amaro; se ammetti che si possa amare quando si sente che un verso di Teocrito vi fa sognare più dei vostri migliori ricordi, quando vi sembra allo stesso tempo che i grandi sacrifici (voglio dire quello a cui si tiene di più, la vista, il denaro) non vi costerebbero niente e che i piccoli vi costano: sì.

Gustave Flaubert, Lettere d’amore a Louise Colet

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