Quattro etti d’amore, grazie

Comunque: anche per me ogni volta fare l’amore con Michele è come fosse la prima.
Le sue mani, sono soprattutto le sue mani. Quando mi si arrampicano addosso promettono, ancora e sempre, che davvero vogliono me, riescono a farmi sentire proprio una specie di Tea Fidelibus: unica, ecco. Mi fanno sentire unica. Perché ho le gambe che ho, l’ombelico, il seno, il collo dei piedi. Semplicemente.
«Tutto bene, amore. Certo» l’ho rassicurato subito. In effetti era davvero molto, molto eccitato stanotte. È stato quasi violento! Mi stringeva i capezzoli, me li torturava, sembrava volesse strapparmeli: ma, poveretto, è da più di dieci giorni che stava a secco. E poi devo ammettere che mi piace, quando diventa un po’ aggressivo.
Soprattutto in questi mesi.
È come se mi rimettesse a posto.
Come mi riportasse al nostro letto, alla nostra casa, alla nostra vita.
Non che abbia bisogno di tenere a mente chi sono e dove abito, figuriamoci.
Ma ogni tanto mi sembra di andare non so come dire: sottovuoto, ultimamente.
Sento proprio l’aria che mi manca e il corpo che si mette a galleggiare, per conto suo, dentro una specie di sacchetto.
E fuori dal sacchetto tutto il mondo.

— Chiara Gamberale, Quattro etti d’amore, grazie, Mondadori, Milano 2013, pp. 96-97

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