Un uomo di passaggio

Avvertivo una specie di vampa di forza, la forza di percepire il mondo come sotto vetro, e quel distacco, insieme con la riduzione del mio bisogno o capacità di dormire, mi conferiva un'energia quasi vampiresca, anche se ero io stesso la mia preda. Potevo leggere e scrivere per ore di seguito con una concentrazione pressoché totale, accorgendomi a malapena che calava la sera, e alle prime ore del giorno giravo per Madrid, passando sotto casa di Isabel o alla galleria di Teresa solo per dimostrare a me stesso che potevo farlo senza la minima fitta di dolore. Osservavo spesso l'alba dal colonnato di El Retiro o da una panchina del Paseo del Prado, oppure prendevo la metro fino a una fermata che non conoscevo e da lì guardavo sorgere il sole, tornavo a casa, dormivo qualche ora, mi svegliavo e prendevo le pillole bianche, l'hashish, il caffè, e con un'energia straordinaria riprendevo le mie avventure nell'insensibilità. Avevo un po’ di paura, non sapevo bene di cosa; forse di gettarmi sotto un autobus senza rendermi conto di quello che facevo, o di irrompere in casa di Isabel e stracciare il quaderno di suo fratello o scaraventare un bidone della spazzatura contro la vetrina della galleria o comunque di fare una scenata, incapace di fermarmi da quella distanza. Ma mi sentivo anche, per la prima volta, uno scrittore, come se tutta la vita vera fosse sulla pagina e dovessi comprare una pila di quaderni a righe alla Casa del Libro per trovare un posto alle mie poesie e ai miei appunti.

— Ben Lerner

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