L’impostore

«La gente che non la conosce, che la legge soltanto, crede che lei sia una persona umile, perché si toglie sempre importanza e ride di sé stesso, soprattutto nei suoi articoli. Io non ci credo. In realtà, finché non l'ho conosciuta pensavo che le sue autoironie non fossero un segno di umiltà, ma di superbia: si sente tanto forte, pensavo, che si permette perfino di attaccare sé stesso, di prendersi in giro; se non fosse tanto superbo, mi dicevo, se fosse più umile o più prudente e non fosse così sicuro di sé, lascerebbe agli altri il lavoro di ridere di lui.»
«È curioso; io non l'ho mai vista in questo modo. Per me l'autoironia è solo il grado zero della decenza, quel minimo di onestà che si deve avere, soprattutto se si scrive sui giornali: alla fin fine, la critica bene intesa inizia con l'autocritica, e chi non è in grado di ridere di sé non ha il diritto di ridere di nulla.»

— Javier  Cercas, L’impostore, Milano 2015, p. 348

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