Relazione dall'ospedale

Ichna

Tirammo a sorte chi ci doveva andare.
Toccò a me. Mi alzai dal tavolino.
L’ora della visita in ospedale si avvicinava.

Non rispose nulla al mio saluto.
Volevo prendergli la mano – la ritrasse
come un cane affamato che non molla l’osso.

Sembrava vergognarsi di morire.
Non so cosa si dica a uno come lui.
Gli sguardi divergevano, come in un fotomontaggio.

Non disse né resta, né va via.
Non chiese di nessuno del nostro tavolino.
Né di te, Bolek. Né di te, Tolek.
Né di te, Lolek.

Mi venne il mal di testa. Chi stava morendo a chi?
Lodavo la medicina e le tre violette nel bicchiere.
Raccontavo del sole e mi spegnevo.

Che bellezza le scale da scendere di corsa.
Che bellezza il portone che si apre.
Che bellezza voi in attesa al tavolino.

L’odore dell’ospedale mi fa venire la nausea.

Wisława Szymborska

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