Lo zoo

“Sono stato a visitare uno zoo dove erano tenuti in cattività degli animali appartenenti alla fauna europea.
Non c’erano gabbie, ma solo recinti molto grandi e, per rendere meno penosa la permanenza forzata di quei poveri esemplari, era stato ricostruito il più possibile l’ambiente naturale. Lungo un certo tratto della recinzione correva una stradina pavimentata che consentiva ai visitatori di passeggiare e osservare. Il lato opposto era invece irraggiungibile dalle persone, inselvatichito e fitto di vegetazione, perché gli animali potessero ritirarsi e nascondersi in un posto relativamente tranquillo.
Mi ero seduto in disparte, da solo, vicino al recinto dei lupi: da un po’ ne osservavo uno sdraiato e semi nascosto dal tronco di un pino silvestre. Ogni tanto alzava la testa e guardava svogliatamente il via vai dei visitatori: sembrava un grosso e innocuo cagnone che riposava accucciato sul tappeto del salotto. Era talmente assuefatto da quel continuo passaggio di persone vivacemente vestite, sempre lungo lo stesso percorso, con gli stessi schiamazzi e gli stessi odori, che se ne fregava di tutto. I suoi sensi si rifiutavano di prestare la minima attenzione a quell’artificiale baraonda. Anche quando si girava il suo sguardo era spento, quasi morto. La carne gli veniva portata ogni giorno dal guardiano dello zoo e a lui non restava altro che sonnecchiare per tutto il tempo.
Mi rattristò molto quell’immagine del grande lupo ridotto in quel modo.
Ma successe qualcosa. Qualcosa di diverso dal solito. Un suono che non era il consueto vocio della gente, né il rumore della ghiaia calpestata dalle innumerevoli suole: era un semplice, banalissimo e quasi impercettibile “tic…”.
Un bambino aveva messo un piede fuori dal sentiero e aveva spezzato un rametto secco.
Quel suono era diverso perché era naturale e apparteneva al suo vero mondo. Era da sempre nelle sue vene e in quelle dei suoi antenati fin da quando era nato il tempo: fin da quando esistono i boschi per cacciare, e dalla notte in cui la luna sentì il primo ululato.
Quella voce di legno gli era entrata come un tuono nei timpani e stava percorrendo tutte le pieghe del suo essere, risvegliando con una scossa tutto il suo istinto selvaggio. Il cagnone alzò la testa di scatto e si trasformò di colpo in un formidabile lupo. Come se gli fosse caduto un fulmine sulle testa, l’animale s’irrigidì e puntò il muso verso il bambino che neppure si era accorto di lui. il pelo gli si rizzò leggermente sulla schiena e i suoi arti sembravano essere diventati d’un tratto più forti e pronti a combattere. Le orecchie, prima svogliatamente erette, erano schizzate sull’attenti e si muovevano appena per sentire meglio, per cercare la fonte del rumore.
Fui crudele e curioso: afferrai un rametto e lo spezzai per vedere se l’effetto si sarebbe ripetuto: “tic…”.
Si. Il lupo si voltò di scatto gettandomi addosso tutta la sua terribile attenzione. Mi cercò con gli occhi fino a quando il suo sguardo non incrociò il mio: fu un attimo che durò per sempre e che ancora vive nella mia memoria.
Vidi in quegli occhi tutta la natura indomata, il mistero profondo delle foreste, lo spazio infinito delle grandi montagne. La forza della vita e della lotta. Quello sguardo fu talmente intenso che dimenticai la robusta rete che ci divideva e mi sentii investito da un fascino, denso di antica paura, che non avevo mai provato prima.
Mentre lo scrivo ne sento ancora il brivido nelle ossa.”

Giancarlo Ferron

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