Tuttigiùperterra!

Storie scritte per i piccoli perché le leggano anche i grandi

Il ghiro e la farfalla

Questa è la storia di un giovane ghiro che passava il suo tempo migliore a dormire e a mangiare.
Il ghiro non conosceva gli altri animali del bosco perché, quando loro erano svegli, lui dormiva e, quando essi tornavano nelle loro tane per la notte, beh, il ghiro dormiva ugualmente.
Non aveva mai sentito la voce del vento o provato la freschezza della pioggia, non si era mai fermato a guardare quanto luminose fossero le stelle, non era mai salito su un monte e non aveva mai percorso una valle. Non sapeva apprezzare il tepore della tana, perché non aveva mai conosciuto il gelo della notte, e non attendeva con fremito il giorno, perché non aveva mai conosciuto quanto emozionante fosse un’alba.
Ma questa è anche la storia di una farfalla che volava senza fatica da un fiore all’altro a ogni respiro.
Un giorno accadde che la farfalla incontrò il ghiro che gironzolava per il bosco in cerca di qualche bacca.
Si esce di casa carichi di quella tranquillità che solo le consuetudini possono assicurare, poi, improvvisamente, il sistema collaudato negli anni impazzisce e si rientra diversi.
“Ciao Ghiro! Come va?” esordì la farfalla, bruciando le tappe della conversazione.
“Ciao anche a te...” rispose l’altro per buona educazione.
Non si era mai imbattuto in qualcuno che avesse così tanta voglia di parlare con un estraneo. E di prima mattina, per giunta! Anzi, per la verità, era da tempo che non si imbatteva in alcun animale: una novità su tutti i fronti, dunque.
Ancora non lo sapeva, ma l’essere disorientato dall’intraprendenza della farfalla stava per trasformarsi in curiosità e chissà in cos’ altro ancora.
Il ghiro non voleva essere la causa della fine di quel dialogo spuntato insieme con i funghi del mattino; si sentì perciò in dovere di masticare qualche altra parola mentre passava in rassegna ogni cespuglio.
“Come mi va, eh? E come deve andare?”
Rivolgersi direttamente alla farfalla era troppo per lui: la soluzione del “monologo apparente” poteva andar più che bene. Così, mentre era intento a trovare il suo pranzo, continuò a fingere di parlare al vento.
“Che vita, la mia... se voglio mangiare devo alzarmi prestissimo e andare in cerca di cibo.”
“Prestissimo?” non poté fare a meno di notare l’altra.
Il ghiro aveva indovinato la chiave che accendeva l’interesse della farfalla: ora era difficile fermarsi.
“E poi devo farlo tutte le mattine!” sottolineò.
“E allora? Che c’è di tanto terribile? Piuttosto, non vedi che il sole è già alto e tu sei ancora così insonnolito?” osservò, incredula, la farfalla, che per un attimo dubitò che il ghiro sapesse leggere l’ora.
Lui non rimase minimamente turbato dall’espressione meravigliata con cui gli si era rivolta, tanto che lasciò passare qualche istante prima di ribattere.
“Il sonno è fondamentale. Se non riposassi abbastanza, credi che sarei così bravo a raccogliere le bacche?”
La conversazione era ormai avviata, perciò fu abbastanza facile proseguirla.
“E poi, non siamo tutti uguali, per fortuna. Tu, per esempio, perdi tempo a girare di qua e di là e io sto attento alla mia salute.”
Questa volta fu la farfalla a non badare alle parole e ai pensieri.
Continuava infatti a svolazzare come se niente le fosse stato rimproverato. Non c’era filo d’erba su cui facesse a meno di posarsi per almeno un istante e, ai discorsi, preferì di gran lunga un accenno di canzone che, non appena uscita dalle labbra, corse a far coppia con il ritmo delle ali.
La farfalla aveva ben chiaro quel che la faceva star bene e sorridere, tutto il resto era relativo e andava oltre la felicità. Per questo, era disposta a spostare in cantina tutto ciò che non le occorreva, incluse le incomprensioni e le parole dette senza capire. Del resto, le cose che restano attaccate al cuore e ai ricordi sono poche; innumerevoli sono invece quelle che scorrono via come i minuti, dimenticati l’attimo successivo a quello in cui li si è vissuti.
“Che fai, non parli più?” riprese il ghiro. “Credevo ti piacesse…”
La farfalla, allora, lasciò perdere i fili d’erba e le prime margherite della stagione e gli si parò di fronte, sussultando, di tanto in tanto, come un aquilone a cui improvvisamente si tende il filo. E, per togliere ogni dubbio, aggiunse: “Infatti! Certo che mi piace chiacchierare!”.
Il ghiro stentava a scovare, in quell’insolito modo di fare, un qualsiasi interesse per la conversazione. Per non parlare poi di tutto quel movimento, che non si addiceva più o meno a niente di ciò che riguardava la sua vita.
Tuttavia, il sole discreto della primavera apre gli animi come le gemme sugli alberi e i due non avrebbero potuto scegliere, per sostare, un pezzo di prato migliore nemmeno a volerlo.
Le parole, dunque, uscirono da sé, come tra chi ha molto in comune. Sembravano amici a un appuntamento rimandato da anni, in cui le tante cose da dire si sommano inevitabilmente alla curiosità di conoscere le novità.
Il ghiro chiedeva e ascoltava, spesso scuoteva la testa perché non riusciva a credere a tutto e si incuriosiva del mondo riassunto in una farfalla.
Lei era entusiasta dei loro discorsi più di quello che dava a vedere, anche se di rado faceva a meno di volare tutt’intorno al ghiro. E, intanto, le sue esili zampette continuavano a correre nell’aria.
Gli raccontò tanto di sé, dei boschi che aveva attraversato, degli animali che aveva incontrato e dei numerosi progetti annotati nella lista delle “cose da fare”.
Lui ascoltava tutto con attenzione, dell’arte dei ragni, dei ricci delle castagne, delle api e di come queste sono abili nel costruire magnifiche case, talmente ricche di stanze da far invidia a una reggia. Lei gli spiegò tutto sulla migrazione degli uccelli e su come gli animali vengono al mondo, avvolti in un caldo bozzolo.
Diamine! Mica siamo tutti farfalle! - pensava il ghiro. Ma lasciava stare, fingendo di non sapere che, in realtà, ogni creatura viene dal cielo portata dalle cicogne. Da troppo tempo non parlava con qualcuno e, ora, era così contento di farlo che temeva che contrariare la farfalla gli sarebbe costato la fine di quell’inaspettato incontro.
Si erano conosciuti soltanto poche decine di minuti prima, ma c’era da credere che il ghiro avesse finalmente cominciato a capire quali fossero le cose da appuntare sul cuore e quelle da spostare in cantina.
Le incomprensioni erano lontane dai loro discorsi e a scompigliare le parole, i ricordi e i racconti c’era a solo il vento che tutt’intorno travestiva il prato da mare ci cespugli da bandiere.
La farfalla aveva la testa affollata di ricordi e ne snocciolava uno dietro l’altro, come fossero legati a una catena. Il ghiro ne aveva giusto qualcuno e, fra l’altro, nemmeno tanto interessante. A chi poteva importare la data esatta in cui aveva scelto la sua tana o cosa aveva mangiato la settimana passata?
Per questo pensò che, se l’amica non avesse avuto nulla in contrario, avrebbe potuto far finta che quei ricordi fossero appartenuti un po’ anche a lui. La farfalla le appariva talmente generosa che non vedeva problemi nel chiederle “in prestito” la sua memoria; così avrebbe creduto di aver visitato un’infinità di posti e di non aver trascorso gli anni inutilmente. Forse si sarebbe anche convinto di essere meno solo di quello che era. Strano, ma non ci si era mai sentito tanto come da quando aveva conosciuto la farfalla.
Si domandò, comunque, se un giorno avrebbe avuto una memoria tutta sua, con ricordi propri, pieni di allegria e di un po’ di malinconia.
Nel frattempo, si perdeva nei racconti della farfalla. Fingeva così con sé stesso di aver conosciuto grilli e lumache, di aver giocato a nascondino con i folletti dei boschi del nord e di aver aiutato le coccinelle a dipingersi la schiena a pois.
La farfalla gli parlò di questo e di molto altro e le sue storie erano così vive di passione che egli ebbe la sensazione di aver davvero condiviso con lei quelle avventure e, nel contempo, di aver, ahilui, dormito troppo.
Non sempre, però, tutto è come sembra. Infatti, negli occhi della farfalla c’era un’ amarezza inspiegabile che, a prima vista, sembrava stonare con i guizzi, il fremere del volo e la curiosità che non le dava riposo.
Il ghiro intuiva quella tristezza e la mente balzò a quando, una volta, aveva visto gli alberi piangere foglie: queste si staccavano a milioni dai rami e, col loro cadere rallentato, disegnavano nell’ aria l’immagine della solitudine. Si chiedeva, allora, chi sarebbe rimasto a far compagnia ai rami e chi mai si sarebbe ricordato di quelle foglie l’attimo dopo che avessero toccato terra. Ma, nonostante ciò, nemmeno per un istante aveva letto sconforto e disperazione nei colori vivaci con cui le stesse foglie animavano i sentieri autunnali.
Guardare gli occhi della farfalla era come guardare il pianto degli alberi: vi si trovava tristezza ma, qua e là, anche forza. Quel velo di malinconia non poteva essere così pesante da soffocare l’energia delle ali e del suo spirito.
“Farfalla, sei preoccupata? Lo vedo dai tuoi occhi” si interessò sinceramente il ghiro. “Non riesco a capire il perché” continuò. “Hai conosciuto animali e visitato luoghi che ti hanno regalato una quantità enorme di ricordi. Questi faranno compagnia alla tua vecchiaia e avrai, perciò, un motivo in meno per sentirti sola. Io non ho niente e ho buttato via tanto di quel tempo... tu almeno hai speso i tuoi anni nel modo che più ti piaceva e non hai nulla di cui rammaricarti!”
Ma lo stupore che ebbe la farfalla nel sentire quelle parole piene d’affetto e di comprensione non è paragonabile a quello che investì il ghiro quando, in risposta, l’amica gli confidò di essere nata solo quella mattina.
Capì, così, tutto quel muoversi, quel fremere di ali e di antenne, in poche parole, il desiderio forte di voler andare,
“Ma allora, qual è il problema?”
“Ho paura che la mia lista di cose da fare sia troppo lunga...”
“Ma che dici! Sei talmente giovane che potresti allungarla quanto vuoi! Magari potrei anche aiutarti...”
“Non credo...” cominciò la farfalla. E chissà quanto coraggio le servì, per confidare a quell’ amico appena trovato che la sua paura non era affatto immotivata e per ammettere, anche a sé stessa, che aveva da vivere solo fino al tramonto.
Quelle frasi uscirono in un soffio e subito stabilirono un silenzio quasi innaturale, come quello che lascia l’uragano, un attimo dopo aver scatenato il finimondo.
Non ci fu bisogno di dire altro e il ghiro non ebbe nemmeno la prontezza di pensare a quanto ingiusta fosse la vita.
Ricordò quando, pochi attimi prima, la farfalla gli aveva confidato di voler conoscere il colore di ogni fiore, di voler respirare ogni profumo, ricordare le forme di ogni sasso e provare, mille volte ancora, il vento fra le antenne. Ora, erano gli occhi del ghiro ad avere una strana ombra.
Quello era solo il solito bosco, con gli stessi alberi e gli stessi cespugli sistemati, da secoli, nei medesimi angoli.., ma non tutti si è farfalle E, forse, valeva la pena esserlo almeno per un po’, una volta nella vita.
Il ghiro non trovò le parole giuste, ammesso che vi fossero, per riempire il silenzio dell’amica, ma, a modo loro, si salutarono ugualmente.
Quell’addio, al pari delle foglie cadute, era colmo non solo di tristezza, ma anche di cose buone, di affetto e di promesse, che colorarono l’animo del ghiro così come l’autunno fa con i sentieri.
La farfalla batté le ali e volò via così come era venuta.
Qualcuno dice che a volte è necessario aver l’impressione che qualcosa ci stia sfuggendo per iniziare a inseguirla, sia essa l’essenza delle cose o la semplice felicità.
Ed è proprio così che accadde, perché il ghiro iniziò a correre verso la collina, e a ogni passo respirava il profumo dei prati e della terra umida, e più il vento gli andava incontro, più velocemente correva.
Si meravigliò delle forme che la natura assumeva, dei rumori e della forza insperata che aveva nelle gambe. Iniziò ad appassionarsi ai disegni delle nuvole e a essere curioso delle vite che scorrevano all’ombra del bosco per questo non perse occasione per fermarsi a parlare con gli animali. Inoltre, come si guardava attorno, subito il suo sguardo incontrava luoghi che avrebbe voluto visitare; e già il desiderio volava a ciò che gli sarebbe piaciuto fare in seguito. Ora, anche il ghiro aveva una sua lista di cose da fare e pensò che non c’era modo migliore di ricordare la farfalla.
Quando poi arrivò in cima all’altura che sovrastava l’intera foresta, il sole era ormai basso e il cielo arancione annunciava l’arrivo della sera.
Allora, il ghiro si accovacciò incantato a guardare il tramonto e una o forse due lacrime gli attraversarono il viso: chissà se anche la farfalla aveva avuto il tempo di vedere quanto fosse bello il sole che spariva dietro i monti!
Non lo seppe mai, ma fu certo che da allora in avanti, ogni sera, l’avrebbe fatto lui per tutti e due.

Elisabetta Rizzi

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