La Buonanotte

La neve ondeggiava lentamente per strada e si dissolveva al primo tocco con l’asfalto. Carlo si fermò per un attimo a osservare quei fiocchi che non vedeva da tempo. Quello era uno degli inverni più freddi degli ultimi anni e in città la gente vagava infagottata in strati di lana. Si sentiva un po’ come quel fiocco di neve, rifletteva mentre infilava il corridoio della metro che lo avrebbe riportato a casa: aveva vagato tutto il pomeriggio per la strada, senza una meta ben precisa, e si sentiva debole proprio come quella neve che non aveva nemmeno la forza di aderire al terreno. Quel venerdì mattina il suo capo, tale ragionier Cantoni, lo aveva chiamato. Gli aveva chiesto di chiudere la porta del suo polveroso ufficio e di accomodarsi sull’unica sedia ancora libera dai faldoni accatastati ovunque nella stanzetta. La situazione era delicata, aveva premesso il ragioniere: a causa della crisi molti ordini erano stati ritirati e la piccola impresa di assistenza informatica dove Carlo lavorava da vent’anni rischiava di chiudere. Lui il posto non lo rischiava ancora, ma se le cose non fossero cambiate sarebbero andati tutti a casa. Il Cantoni quel freddo venerdì pomeriggio aveva voluto condividere quel peso con qualcuno e aveva scelto proprio lui, il fido Carlo, scaricandogli così un sasso sul petto che non lo faceva respirare.

Dopo quel colloquio Carlo aveva provato a concentrarsi di nuovo sul lavoro, ma non c’era stato nulla da fare. Durante la pausa pranzo si era arreso ai suoi pensieri bui e decise di prendersi il pomeriggio libero. Aveva camminato senza mai fermarsi, lasciando che il freddo gli tagliasse la faccia. Sperava che il gelo dell’aria gli schiarisse le idee. Quel pomeriggio, da solo con se stesso, aveva iniziato a farsi mille domande. Cosa avrebbe fatto se avesse perso il lavoro? Sarebbe riuscito a trovare un altro impiego? Era troppo vecchio per sostenere ancora dei colloqui? Cosa avrebbe detto a Luisa?

Luisa era sua moglie da diciotto anni: un pomeriggio una ragazza bruna e con occhi da cerbiatta era caduta dalla bicicletta e lui l’aveva aiutata a rialzarsi e a tamponare la sbucciatura provocata dall’impatto. Era stato ipnotizzato da quegli occhi, tanto che dopo ore si erano accorti di essersi fermati a parlare nello stesso punto dove l’aveva aiutata ad alzarsi. Era un’inguaribile ottimista, l’aveva capito dal primo sguardo: l’aveva trovata con un ginocchio sanguinante, ma con il sorriso sulle labbra. Quello stesso sorriso che fuoriusciva anche dagli occhi che lo avevano incantato.

In metro pensava a sua moglie e a quel pomeriggio. Se l’immaginava guardarlo e rassicurarlo. Lei era sempre stato il suo porto sicuro e sapeva che, solo tornando a casa, tutti i pensieri cupi di quel pomeriggio sarebbero svaniti e con essi anche quella brutta sensazione di oppressione. Contava le fermate che lo separavano dall’arrivo a casa. A quell’ora anche Luisa doveva essere già rientrata. Avrebbe varcato la soglia, le sarebbe andato incontro abbracciandola e avrebbe respirato il suo odore. Una fragranza dolce che a volte avvertiva anche solo pensando a lei.

Carlo girò la chiave nella serratura e fu accolto da un buon profumo di cibo. Luisa era intenta a preparare la cena, ma come udì la porta che si apriva uscì dalla cucina per andare incontro al marito. Un bacio, poi Luisa prese il viso ghiacciato di Carlo tra le mani per scaldarlo, guardandolo negli occhi a lungo. Poi tornò ai fornelli. Cenarono quasi in silenzio quella sera, con il rumore dei piatti e della televisione in sottofondo. Poi ognuno tornò alle sue cose, ma con l’orecchio teso verso l’altro: Luisa dalla cucina sentiva il vociare proveniente dalla TV accesa in soggiorno e in quella stanza, solo ascoltando i rumori e i passi di Luisa, Carlo poteva immaginare i gesti della moglie. Ascoltò l’ultima notizia sportiva della giornata e si alzò per spegnere il televisore. Il giornalista stava parlando della Ferrari mentre poggiava l’indice sul tasto off dell’apparecchio e con l’altra mano si accarezzava dietro la nuca. Lo faceva sempre quando era stanco. I loro sguardi si incrociarono.

“Ti stai avviando?”, chiese la moglie. “Ti lascio la luce accesa”, e il marito si diresse in camera da letto. Dopo qualche minuto Luisa lo raggiunse e si infilò a letto. Lei si portò la mano verso il fermaglio e in unico gesto lasciò libera la chioma, scuotendo la testa. Lui guardava incantato i capelli bruni che si muovevano nell’aria.

Luisa si girò e gli sorrise a mezza bocca. Carlo si protese verso di lei, le prese il viso tra le mani e la baciò. Prima piano, poi la strinse a sé. Lei si abbandonò completamente alle sue braccia.

“Buonanotte”, disse lei in un sospiro.

“Buonanotte”, pensò lui posandole sui capelli l’ultimo bacio di quella lunga giornata.

Mila Orlando

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