Il giardino segreto

Mentre il giardino segreto tornava a vivere, e con esso due bambini, un uomo vagabondava in lontani paesi affascinanti, tra i fiordi norvegesi e tra le valli e le montagne della Svizzera, un uomo che da dieci anni aveva la testa piena di pensieri cupi e strazianti. Non era stato coraggioso, non aveva mai fatto uno sforzo per sostituirli con altri pensieri. Aveva invece girovagato presso il laghi azzurri sempre con quei pensieri in testa, s'era sdraiato nei pendii delle montagne sui prati pieni di genziane blu in fiore e nell'aria pervasa da un profumo floreale, e ancora pensava sempre a quelli. Era stato schiantato da un dolore tremendo proprio quando era felice, e così s'era lasciato conquistare l'anima dalla tristezza, rifiutandosi cocciuto di permettere a un minimo barlume di luce di filtrare. […]
Aveva sempre scelto gli angoli più tranquilli e remoti. Era stato in cima a montagne dalle vette coronate da nuvole per ammirare dall'alto altre montagne quando sorgeva il sole a baciarle con una luce che faceva quasi credere che il mondo stesse nascendo in quello stesso momento.
Purtroppo la luce non sembrava mai sfiorarlo, almeno fino al giorno in cui capì che, per la prima volta in dieci anni, gli era successa una cosa strana. Si trovava in una meravigliosa vallata del Tirolo austriaco e stava passeggiando tutto solo attorniato da una bellezza che avrebbe sollevato dalla depressione lo spirito di chiunque. Aveva camminato a lungo, ma il suo animo era sempre depresso. Alla fine, sentendosi stanco, s'era gettato su un tappeto di muschio accanto a un ruscello per riposare. Era un piccolo corso d'acqua limpida che correva allegramente nel suo letto angusto attraverso l'umida vegetazione, e ogni tanto mentre gorgogliava sopra e attorno ai massi produceva un rumore che ricordava una risata sommessa. L'uomo osservava gli uccelli scendere ad affondare il becco in acqua per bere, poi spalancare le ali e volare via. Il ruscello sembrava un essere vivente che con la sua vocetta faceva apparire ancor più profondo il silenzio di quella valle.
Mentre era seduto a fissare l'acqua limpida che fluiva, Archibald Craven sentì placarsi sia la mente che il corpo, li sentì diventare sereni come la valle stessa, e si chiese se stesse per addormentarsi. Invece non si addormentò. Rimase a fissare l'acqua illuminata dal sole, costellata di strani riflessi. C'era un gruppo adorabile di azzurri non-ti-scordar-di-me talmente vicino al ruscello che i petali dei fiori erano bagnati. Si accorse che li stava guardando come si ricordava di aver guardato le medesime cose anni prima, e pensò con tenerezza a quanto era bello tutto questo e a quanto era meraviglioso l'azzurro di quelle centinaia di fiorellini. Non si accorse però che quel semplice pensiero gli stava riempendo pian piano la testa, scacciando tutto il resto, come se una dolce primavera serena avesse cominciato ad affiorare in una pozza d'acqua stagnante, salendo e salendo fino a far defluire del tutto le acque scure. Naturalmente non si rendeva conto di questi pensieri, sapeva solo che la vallata sembrava sempre più silenziosa mentre lui se ne stava lì seduto a fissare quell'azzurro delicato e luminoso. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo era lì o che cosa gli stava succedendo, ma alla fine si sgranchì come se si stesse risvegliando, poi si alzò adagio dal tappeto di muschio, frastornato, facendo un lungo respiro profondo e dolce. Aveva l'impressione che in lui si fosse liberato qualcosa senza fare alcun rumore.
“Che cosa mi succede?” mormorò, e si passò una mano sulla fronte. “Mi sembra quasi di… di essere di nuovo vivo!”

— Frances Hodgson Burnett

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