Ogni volta

«Ogni volta che la osservavo, quel suo sguardo umido e trasognato, quel modo selvatico, esuberante, con cui accarezzava ogni cane e ogni gatto, l'inquietudine che le faceva cominciare un po’ di tutto, per poi lasciarlo a metà, per me era un turbamento infinito. E poi, la furia ardente con cui, la sera, consumava i pochi, miseri libri della biblioteca dell'albergo o compulsava i due consunti libri di poesia che aveva portato con sé, il suo Goethe e il suo Baumbach… Ma perché sorride?»
Dovevo scusarmi. «È solo l'accostamento, Goethe e Baumbach». «Ah, ecco! Certo, è buffo. Eppure non lo è. Mi creda, alle ragazzine, a quell'età, non importa leggere poesie belle o brutte, autentiche o insincere. Per loro i versi sono soltanto calici con cui dissetarsi, e non badano al vino perché l'ebbrezza è già dentro di esse, ancor prima di bere. Così era quella ragazza, traboccava di desiderio struggente, che le risplendeva negli occhi, le faceva tremare le dita appoggiate sul tavolo, conferendo alla sua andatura un aspetto goffo eppure lieve, tra il volo e la paura. Si vedeva ch'era affamata di parlar con qualcuno per liberarsi un po’ della sua piena, ma là non c'era nessuno, soltanto solitudine, soltanto il tintinnio dei ferri, dritto e rovescio, le fredde occhiate sospettose delle due signore.»

— Stefan Zweig, Breve novella estiva (da Notte fantastica)

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