Il fischio del merlo

Il fischio dei merli ha questo di speciale: è identico a un fischio umano, di qualcuno che non sia particolarmente abile a fischiare, ma che si trovi ad avere un buon motivo per fischiare, una volta tanto e per una volta sola, senza intenzione di continuare, e lo faccia con un tono deciso ma modesto e affabile, tale da assicurarsi la benevolenza di chi l’ascolta. Dopo un pò il fischio è ripetuto – dallo stesso merlo o dal suo coniuge – ma sempre come fosse la prima volta che gli viene in mente di fischiare; se è un dialogo, ogni battuta arriva dopo una lunga riflessione. Ma è un dialogo, oppure ogni merlo fischia per sè e non per l’altro? E, in un caso o nell’altro, si tratta di domande e risposte (all’altro o a se stesso) o di confermare qualcosa che è sempre la stessa cosa (la propria presenza, l’appartenenza alla specie, al sesso, al territorio)? Forse il valore di quell’unica parola sta nell’essere ripetuta da un’altro becco fischiante, nel non essere dimenticata durante l’intervallo di silenzio. Oppure tutto il dialogo consiste nel dire all’altro “io sto qui”, e la lunghezza delle pause aggiunge alla frase il significato di un “ancora”, come a dire: “io sto ancora qui, sono sempre io”. E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio? Se fosse nel silenzio che i merli si parlano? (Il fischio sarebbe in questo caso solo un segno di punteggiatura, una formula come “passo e chiudo”).

Italo Calvino, Il fischio del merlo da Palomar 

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