Le crisi economiche partoriscono fascismi

Qualche avvisaglia dell’onda rovinosa che si sta per abbattere sulle fragili impalcature della democrazia italiana si intravede e desta preoccupazione all’interno del Governo Conte. La settimana scorsa il Ministro dell’Interno ha diramato un’informativa per le forze dell’ordine nella quale si chiede di vigilare sulla possibilità che la crisi delle imprese e del mondo del lavoro possa accendere tensioni sociali, che potrebbero sfociare in azioni di tipo delittuoso, e si chiede di controllare affinché le organizzazioni criminali non utilizzino i nuovi bisogni scaturiti dalla crisi. Nei giorni passati si erano diffuse segnalazioni di assalti ai supermercati e altre azioni di sabotaggio organizzate sui social. Nelle parole del Ministro Lamorgese c’è la preoccupazione per le ripercussioni sull’ordine pubblico che l’emergenza sanitaria potrà avere, a causa dell’impoverimento di numerose categorie economiche e di lavoratori che rischiano di perdere il posto e il salario. É uno scenario che mette paura e che presente troppe analogie con altri momenti di crisi che hanno scatenato i peggiori demoni del totalitarismo. L’Ungheria ha aperto la strada: dalla crisi economica e dal disfacimento dei legami sociali e comunitari può avvantaggiarsi un’ideologia mostruosa che propone un modello paternalistico e regressivo, che in cambio della protezione sociale chiede il sacrificio dei diritti e la messa in quarantena della democrazia. La Storia lo ha dimostrato ampiamente. Le crisi economiche e sociali partoriscono soluzioni di tipo fascista e conducono alla dittatura populista. Il compito dei partiti e delle forze progressiste è decisivo. Occorre fornire risposte non equivoche al disagio delle persone e dei cittadini, e soprattutto è fondamentale che la lotta contro la diffusione del virus sia accompagnata da una serie di provvedimenti che ristabiliscono giustizia sociale e solidarietà nei confronti degli ultimi e anche dei penultimi, che anni di liberismo selvaggio avevano frettolosamente gettato nei rifiuti della Storia.

di Antonio Rinaldis

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