Il deserto dei Tartari

Drogo rimase solo e si sentì praticamente felice. Assaporava con orgoglio la sua determinazione di restare, l'amaro gusto di lasciare le piccole sicure gioie per un grande bene a lunga e incerta scadenza (e forse c'era sotto il consolante pensiero che avrebbe sempre fatto in tempo a partire). Un presentimento - o era solo speranza? - di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva anche essere soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi? Quanto tempo davanti! Lunghissimo gli pareva anche un solo anno e gli anni buoni erano appena cominciati; sembravano formare una serie lunghissima, di cui era impossibile scorgere il fondo, un tesoro ancora intatto e cosi’ grande da potersi annoiare. Nessuno che gli dicesse: “Attento, Giovanni Drogo!”. La vita gli pareva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire. Ma Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sé una giovinezza di cento e cento anni, come gli dei, anche questo sarebbe stata una povera cosa. E lui aveva invece disponibile una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita delle mani bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere. Quanto tempo dinanzi, pensava. Eppure esistevano uomini - aveva sentito dire - che a un certo punto (strano a dirsi) si mettevano ad aspettare la morte, questa cosa nota e assurda che non lo poteva riguardare.

— Dino Buzzati

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