Il Vampiro della Bergamasca

«Un'altra vampira! No guardi signorina io ho una qualità di sangue assolutamente insucchiabile! Pieno di colesterolo e di trigliceridi, e poi la cosa più importante: non sono vergine eh! Io sono un mandrillone, mi son fatto donne di ogni tipo sa? Non ha idea! ...eh chi è? E son stato anche con la portinaia, una vecchia con la barba. E mi son fatto di tutto! Sono stato anche... con un marinaio... di colore... un nano... un nano... non mi crede?» Fracchia

Vincenzo Verzeni nasce a Bottanuco nel 1849 in una famiglia di contadini. La sua infanzia è segnata dalle condizioni economiche disagiate della famiglia: il padre è alcolizzato e violento, mentre la madre, remissiva e bigotta, soffre di epilessia.

Verzeni manifesta i primi segni di aggressività all'età di 18 anni. Nel 1867 aggredisce nel sonno la cugina Marianna e tenta di morderle il collo, ma fugge spaventato dalle sue grida. Non risultano denunce in seguito all'aggressione.

Nel 1869 Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto che fugge appena la donna oppone resistenza. La Bravi non è in grado di identificare l'aggressore ma anni dopo, in seguito all'arresto di Verzeni per due omicidi, non escluderà che potesse trattarsi di lui.

Nello stesso anno, Verzeni aggredisce un’altra contadina, Margherita Esposito: nella colluttazione l'uomo viene ferito al volto e successivamente identificato dalla polizia. Anche in questo caso non risultano provvedimenti penali in seguito all'aggressione.

Sempre nel 1869 un'altra donna, Angela Previtali, denuncia alla polizia di essere stata aggredita, stordita e condotta in una zona disabitata da Verzeni, poi liberata dall'uomo stesso per compassione.

Il primo omicidio risale all'8 dicembre 1870 quando la quattordicenne Giovanna Motta, che si stava recando nel vicino comune di Suisio per visitare alcuni parenti, scompare nel nulla.

Quattro giorni dopo la giovane viene rinvenuta: nuda e squartata, le sono stati asportati gli organi genitali e le interiora, quest’ultime rinvenute in un cavo di gelso. Sul suo collo evidenti segni di morsi e una parte del polpaccio strappata. Su una pietra vicino al cadavere, vengono rinvenuti degli spilloni disposti a raggiera. La scoperta degli spilloni, fece pensare che Verzeni potesse essere affetto da piquirismo, (un particolare tipo di parafilia consistente nel ricercare il piacere pugnalando e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati.) ma non riusci a concludere l’atto, forse perché interrotto da qualcuno o qualcosa o perché tornato in se.

Il 10 aprile del 1871 Verzeni importuna Maria Galli, un'altra contadina, che lo segnala alla polizia. Il 26 agosto dello stesso anno aggredisce Maria Previtali (non legata ad Angela) spintonandola violentemente e cercando di morderla al collo.

Nel 1872 Verzeni uccide Elisabetta Pagnoncelli, il cui cadavere viene ritrovato in condizioni simili a quello di Giovanna Motta: segni di morsi sul collo, organi asportati e lembi di carne strappati.

Vincenzo Verzeni è arrestato solo nel 1873. Cesare Lombroso è incaricato di stendere la perizia psichiatrica: pur non ritenendo Verzeni infermo mentale, Lombroso lo definisce "un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana" e, basandosi anche sulla conformazione del suo e sulle caratteristiche del volto (mandibole e zigomi pronunciati, occhi piccoli), diagnostica gravi forme di cretinismo e necrofilia, oltre che di pellagra in fase avanzata. Nella famiglia dell’omicida vi erano diversi casi di alterazioni mentali: il padre, oltre che alcolizzato e violento, soffriva di ipocondria, mentre uno zio era affetto da iperemia cerebrale.

Durante il processo Verzeni descrive gli omicidi:

«Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo.»

Giudicato colpevole di duplice omicidio, Verzeni scampa alla condanna a morte grazie al voto di un giurato e viene condannato all'ergastolo nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano e ai lavori forzati a vita. Non riuscendo a reggere la fatica, il 13 aprile del 1874, viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano. Verzeni viveva in isolamento, riceveva getti d’acqua fredda, seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche. Il 23 Luglio del 1874, gli inservienti del manicomio dichiarano di averlo trovato morto, nudo, solo con le calze e pantofole, impiccato a un’inferriata.

Secondo i produttori televisivi Mirko Cocco e Michele Pinna, che si sono occupati del caso per un servizio televisivo regionale nel 2010, Verzeni sarebbe sopravvissuto al tentativo di suicidio e sarebbe stato trasferito nel carcere di Civitavecchia. Un articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo il 3 dicembre 1902 lo conferma: «La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.»

L'atto di morte n. 87 del comune di Bottanuco certifica che Verzeni è morto nel suo paese natale il 31 dicembre 1918, per cause naturali.

La mummia di Vincenzo Verzeni è conservata al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella.

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