Una vita più infima e infelice

La sua malattia era che gli era passata la voglia di mondo. I medici la chiamano depressione. Lui non prendeva farmaci, incontrava persone, ma qualche minuto dopo si accorgeva che nella sua testa non rimaneva nulla di quegli incontri. E se parlava con un donna non gli veniva voglia di sedurla. Girava per il mondo con la testa di plastica.Era morto, come quasi tutti gli abitanti del pianeta. Non aveva più voglia di nulla. Aspettava la morte senza paura e senza farsi nessuna domanda. Aveva chiuso con se stesso e con gli altri. Non provava nessun rancore. Non aveva voglia di litigare, non c'era nessuna verità che meritava di essere protetta. Camminava in un piccolo sentiero sotto casa sua. Non incontrava nessuno. Aveva buttato il telefono e il computer.

Un giorno gli arrivò una lettera. Una donna gli chiedeva di poter scrivere un libro sulla sua vita. Lui le disse che non era interessato, ma la donna un giorno si presentò a casa sua. Era molto bella, una di quelle bellezze dovuta alle ossa fatte d'aria, una leggerezza che le faceva volare le braccia, che dava agli occhi il bagliore di una montagna innevata in un giorno di sole. Tutto in lei era freschissimo. Gli chiese di passare due pomeriggi a parlare, nient'altro. Lui si sgrovigliò dalla sua inerzia e le disse di sì.

Durante la conversazione lei gli faceva varie domande sul suo rapporto con le donne. Un mese dopo l’intervista lei decise di volere vivere in quel paese. Non era nata una storia d’amore, era nato il suo amore per lui. E non glielo disse mai. Si vedevano ogni tanto, parlavano di letteratura. Lei conobbe anche qualche ragazzo con cui amoreggiava, ma sapeva bene di essere in quel paese perché le era spuntato dentro un sentimento che le impediva di vivere altrove. Ci sono sentimenti che fanno parte del nostro equipaggiamento, tipo l’amore per i genitori. E poi ci sono sentimenti che irrompono, sequestrano le zone del nostro corpo dove prendiamo delle decisioni e ci fanno decidere come vogliono loro. Lei amava quell’uomo arreso e godeva a sapere di poterlo vedere ogni tanto. Il massimo della confidenza era mettergli una mano sulle spalle. Lui non era vecchio, né malato. Lui era semplicemente caduto in una stanchezza senza fine. Eppure la sua presenza emanava ancora energia, stare nello spazio in cui stava lui era come fare l’amore. Ci sono amori che senza contatto fisico sono insostenibili e presto fuggono via. Lei era stata raggiunta dal mistero di un amore che non aveva bisogno di essere dichiarato, né consumato. Il giorno che insieme a pochi altri lo accompagnò al cimitero sentì che aveva perso il più grande amore della sua vita. Nelle domande sulle donne lui le aveva parlato del fatto che per troppo tempo si era dovuto difendere da sentimenti che dilagavano da ogni parte. Gli sembrava di avere cento cuori in petto e ognuno batteva per una storia diversa. Le disse che aveva consumato tutta la vita per rendere solenne ogni attimo della sua vita e della vita di tutti. Era un’impresa folle, sterminata. Concluse l’intervista con questa frase: “Non sono qui per divertirmi, per distrarmi dal fatto di essere qui. Voglio creare una vita più infima e infelice di quante se ne siano mai viste, più intensa e gioiosa di quante se ne siano mai viste”.

Franco Arminio


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