Camille Claudel

«Signor dottore, forse voi non vi ricorderete della vostra ex-paziente e vicina, M.lle Claudel, che fu portata via da casa sua il 13 marzo 1913 e condotta in manicomio, da dove, forse, non uscirà mai più. Sono cinque anni, tra poco sei, che subisco questo terribile martirio. Ero stata dapprima portata nel manicomio di Ville-Evrard, e poi, in un secondo momento, in quello di Montdevergues, vicino Montfavet (Vaucluse). Inutile descrivervi le mie sofferenze. Ultimamente ho scritto a Monsieur Adam, avvocato, a cui mi avevate gentilmente consigliato di rivolgermi, e che in passato mi aveva difesa con successo, pregandolo di occuparsi del mio caso. Ma, in questa circostanza, un vostro consiglio sarebbe necessario perché voi siete un uomo di grande esperienza e, come medico, molto competente sulla questione. Vi prego dunque di prendervi cura del mio caso, insieme a M. Adam, e riflettere su cosa potete fare per me. Per quanto riguarda la mia famiglia non c’è niente da fare: sotto l’influenza di persone malvagie, mia madre, mio fratello e mia sorella non ascoltano che le calunnie da cui sono stata investita. Mi si rimprovera (crimine orribile!) di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione! È sulla base di queste accuse che sono incarcerata da cinque anni e mezzo come una criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e dei più elementari conforti. Ho spiegato a M. Adam in una lunga lettera gli altri motivi che hanno contribuito alla mia reclusione, e vi prego di leggerla attentamente per rendervi conto di tutti i dettagli del caso. Forse voi potreste, come dottore in medicina, usare la vostra influenza a mio favore. In ogni in caso, se non si vuole concedermi la libertà subito, preferirei essere trasferita alla Salpêtrière o a Sainte-Anne oppure all’ospedale ordinario, dove voi potreste venire a visitarmi per rendervi conto della mia salute. Qui per me vengono pagati 150 franchi al mese, e dovreste vedere come vengo trattata; la mia famiglia non si occupa di me e non risponde alle mie proteste che con il mutismo più assoluto, così vien fatto di me quel che si vuole. È orribile essere abbandonata in questo modo, non posso impedirmi di essere sopraffatta dal dolore. Spero che possiate fare qualche cosa per me, e, ben inteso, nel caso in cui avrete delle spese da sostenere, vi rimborserò per intero. Mi auguro che non abbiate dovuto subire alcuna disgrazia a causa di questa maledetta guerra, che vostro figlio non abbia sofferto in trincea e che Madame Michaux e i vostri giovani figli siano in buona salute. C’è un'altra cosa che vi chiedo: quando andrete a far visita alla famiglia Merklen, riferite a tutti quel che mi è successo. Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano. Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca mai di prigione. Vi prego di non scrivermi qui e di non dire che vi ho scritto, perché vi sto scrivendo in segreto contro i regolamenti dello stabilimento e se si venisse a sapere mi troverei nei guai!» 

 Camille Claudel, 25 febbraio 1917

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