La strage delle api che mette in pericolo tutta la catena alimentare

Se questa mattina avete preso un caffè o bevuto un succo d’arancia, dovete probabilmente ringraziare un’ape. Un terzo del cibo che mangiamo è legato all’azione di questi e altri insetti impollinatori, che volando di fiore in fiore favoriscono la fecondazione incrociata nelle piante. Un rapporto simbiotico che va avanti da milioni di anni e rappresenta una delle chiavi di volta dell’evoluzione: le piante forniscono alle api il nettare di cui si nutrono; queste in cambio trasportano il polline dagli stami allo stigma, facendosi vettori della riproduzione. Le une non potrebbero vivere senza le altre. E anche noi avremmo non poche difficoltà: se le api cessassero di esistere, non saremmo privati solo del miele, ma scomparirebbero varie specie vegetali, con effetti devastanti su tutta la catena alimentare.

La relazione tra la nostra specie e le api affonda nella notte dei secoli. (…) Oggi questo rapporto appare seriamente compromesso: le api muoiono a ritmi spaventosi come risultato di diversi fattori, tutti legati al comportamento umano. L’uso in agricoltura dei pesticidi neonicotinoidi le disorienta, impedendo loro di ritrovare la strada dell’alveare. Le monocolture le privano di fonti di nutrimento e le costringono a spostarsi a caccia di cibo.

Gli shock climatici influiscono sul comportamento degli alveari: il caldo innaturale in inverno può spingere la regina a riprodursi precocemente e ad allargare la colonia quando le condizioni di fioritura nell’ambiente circostante non sono ancora adatte al nutrimento. Succede così, come è successo in tutti questi ultimi anni in Italia, che nelle famiglie sovrappopolate si muoia di fame. Ad altre latitudini avvengono fenomeni ancora più estremi: in Australia un anno e mezzo fa le temperature eccessive hanno fatto fermentare il nettare dei fiori trasformandolo in alcol e letteralmente ubriacato le api (…)

Questo insieme di cause sta provocando una vera e propria strage: negli ultimi cinque anni sono scomparsi nel mondo 10 milioni di alveari, quasi 2 milioni l’anno. In Italia se ne sono persi almeno 200mila. Se si conta che ogni alveare può ospitare fino a 80mila unità si capisce la portata del massacro. L’estate scorsa si è avuta una moria eccezionale tra Brescia e Cremona, che ha lasciato a terra tra gli otto e i nove milioni di esemplari. La probabile causa? L’uso improprio di alcuni insetticidi.

Nel 2018, l’Unione Europea ha vietato l’uso di tre pesticidi neonicotinoidi particolarmente nocivi per le api, ma l’anno scorso alcuni paesi li hanno riammessi per combattere degli afidi che colpiscono le barbabietole. Oggi la moria delle api ha innescato un movimento popolare. Un’iniziativa dei cittadini per “salvare le api e i contadini”, che chiede l’eliminazione al 2035 dei pesticidi sintetici, il ripristino della biodiversità e misure di sostegno agli agricoltori per favorire la transizione, ha già raccolto quasi mezzo milione di firme. Se si arriva a un milione, la Commissione europea sarà costretta a prendere una posizione.

La battaglia per la sopravvivenza di questi impollinatori riguarda tutti noi. Anche perché, come sottolinea l’apicoltore e divulgatore Paolo Fontana, «se si rompono gli equilibri che hanno garantito la sopravvivenza delle api per milioni di anni, la specie più minacciata sarà proprio quella scimmia nuda dal nome forse un po’ ampolloso di homo sapiens».

Stefano Liberti

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