Un giorno la vita mi ha colpito

«Un giorno la vita mi ha colpito così forte, che mi ha insegnato a resistere». Così parlava Franco Leoni Lautizi, ultimo sopravvissuto alla strage di Marzabotto, che è morto ieri, all’età di 83 anni.

Non aveva ancora compiuto 6 anni quando fu travolto dalla furia nazista: era il 29 settembre 1944, e quattro reparti delle truppe tedesche, guidati da repubblichini, accerchiarono tutta la zona circostante il Monte Sole, in provincia di Bologna. Poi aprirono il fuoco e si lanciarono all’assalto di case, scuole, chiese, assetati di sangue e distruzione.

Ovunque arrivavano, uccidevano tutti a colpi di mitragliatrice. Qualcuno fu decapitato. Uccidevano i neonati in braccio alle loro madri. Lanciavano bombe a mano.

Franco Leoni Lautizi stava scappando con sua mamma, incinta al nono mese, e sua nonna, ma furono intercettati dai soldati che iniziarono a sparare. Provarono a nascondersi dietro a un pagliaio, ma inutilmente: furono colpiti tutti e tre. La nonna morì sul colpo, e il piccolo Franco si salvò solo perché la mamma, Maria Martina Sassi, gli fece scudo con il suo corpo. Lui, ferito e sanguinante, rimase per ore nascosto sotto i cadaveri, e così riuscì a salvarsi. Uno dei pochissimi superstiti di una strage che durò sei giorni, fino al 5 ottobre, e terminò con un terribile bilancio: 770 persone uccise, 216 bambini. Uno dei più terribili crimini della Seconda guerra mondiale.

Franco Leoni Lautizi, però, non si lasciò sopraffare dall’odio, ma al contrario, comprese l’importanza del perdono per riconciliarsi con il suo passato dolorosissimo.

E proprio per questo ha portato la sua storia nelle scuole, per testimoniare il valore universale della pace, e far conoscere alle nuove generazioni gli orrori della guerra. E ha continuato fino a poche settimane fa, anche quest’anno, durante la didattica a distanza.

Credeva talmente nella forza del perdono, che quando nel 2017 ci fu lo scandalo di un calciatore di calcio dilettante che durante una partita proprio a Marzabotto fece il saluto romano, lui fu tra i pochi a non chiedere punizioni o denunce. Secondo Lautizi, infatti, era più utile rieducarlo che punirlo. E così gli scrisse una bellissima lettera:

«Ciao Eugenio, sono Franco, uno dei pochi sopravvissuti alla strage di Marzabotto. Non voglio commentare il tuo gesto, questo lo lascio ai giornali e alla politica. Ti invito solo ad incontrarmi, a quattro occhi, senza riflettori. Ti racconterò quello che è avvenuto in quei tragici giorni dal 29 settembre al 5 ottobre 1944. Una barbarie inimmaginabile per un ragazzo della tua età che, fortunatamente, non ha conosciuto la guerra. Sono passati più di settanta anni dall’eccidio, ma ancora oggi l’incubo di quella ferocia mi accompagna ogni giorno. Ascolta la mia storia. Se solo riuscirò a far breccia nel tuo cuore e a condurti ad un vero pentimento, allora avrò fatto molto e il sacrificio di tante persone innocenti sarà servito a qualcosa. Dalle macerie della tragedia di Marzabotto ho imparato una cosa importante: il Perdono».

Non sappiamo se poi il calciatore abbia capito l’oscenità del suo gesto, ma sappiamo che si sono incontrati, e possiamo solo sperare che le parole di Franco Leoni Lautizi non siano state vane.

Quello che è certo è che l’Italia ha perso un testimone importante e una persona straordinaria, per questo diventa ancora più importante che noi oggi continuiamo a ricordare e raccontare, per non dimenticare mai. Perché come scriveva Primo Levi, “tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”.

La farfalla della gentilezza

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