In memoria di Franca Rame

In memoria di Franca RAME, morta a 83 anni a Milano il 29 maggio 2013. Un articolo di Saverio FERRARI, che ricostruisce l'ambiente fascista in cui maturò nel marzo 1973 il suo sequestro e chi furono i responsabili della violenza.

CHI COPRIVA NEGLI ANNI SETTANTA

I PICCHIATORI DI SAN BABILA

IL CASO DEL SEQUESTRO E DELLO STUPRO

DI FRANCA RAME NEL 1973 COMMISSIONATO

AI FASCISTI DAI CARABINIERI

DEL GENERALE PALUMBO

I FESTEGGIAMENTI IN CASERMA DOPO L’AZIONE

Milano, ai tempi della strategia della tensione, conobbe per anni una sorta di occupazione “militare” di piazza San Babila, a due passi dal Duomo, da parte di bande di picchiatori neofascisti che letteralmente si accamparono in alcuni bar della piazza o prospicienti le vie d’accesso (Corso Europa, via Borgogna e Corso Vittorio Emanuele). Tutt’altro che un fenomeno di costume. Come accertato in sede giudiziaria, dentro e nei pressi di quei locali pubblici non ci si appostava solo per marcare il territorio ma per aggredire chi con sembianze di sinistra si avventurava in zona. Impressionante l’elenco, tra il 1969 e il 1975, delle aggressioni. Tra le altre quella mortale del 25 maggio 1975, quando fu assassinato a coltellate il giovane studente di sinistra Alberto Brasili, inseguito fino in via Mascagni davanti alla sede dell’Anpi.

L’ENCLAVE NERA

Nei bar di quella piazza si arrivò anche a progettare una strage, quella del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma, per fortuna fallita per imperizia degli attentatori, tutti appartenenti a La Fenice, la denominazione milanese di Ordine nuovo. Come ricostruito dalle inchieste l’ultima riunione preparatoria si tenne la sera precedente alla birreria tedesca Wienervald nei pressi della galleria Vittorio Emanuele. Qui e negli altri bar si incontravano anche i componenti delle Sam (le Squadre d’azione Mussolini) che firmarono venti attentati dinamitardi in due anni, contro lapidi partigiane (tra le altre, alla Loggia dei Mercanti e alla stele di Piazzale Loreto di Milano, nella notte fra il 9 e il 10 maggio 1972), sedi di partito (nel caso dei socialisti venne anche pesantemente colpita la federazione milanese, il 17 aprile del 1971), redazioni e tipografie di quotidiani democratici («Il Giorno» e «l’Unità»), ma anche la casa del procuratore generale di Milano Luigi Bianchi d’Espinosa.

Con molta onestà uno degli stessi protagonisti di quella stagione, Alessandro Danieletti, in un romanzo di soli pochi anni fa dai tratti autobiografici dal titolo Avene selvatiche, firmato con il cognome della madre, Preiser, apprezzato anche da stimati critici letterari come Claudio Magris, ne ha dato una rappresentazione alquanto vicina al vero, ripercorrendo le imprese di squadristi prezzolati e neonazisti figli di papà, ma anche di sottoproletari o semplici malavitosi. Personaggi non inventati, riconoscibilissimi pur dietro nomi di fantasia nello stesso romanzo.

L’impunità di cui godettero i picchiatori e i bombaroli di piazza San Babila fu quasi totale. All’origine di questa enclave nera un ruolo fondamentale fu giocato da alcuni settori borghesi ultrareazionari che finanziavano i giovani neofascisti e le loro imprese per intimidire le lotte operaie e studentesche con assalti ai picchetti e alle loro mobilitazioni. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile se non vi fossero state coperture istituzionali ad alto livello. La vicenda del sequestro e dello stupro nel marzo 1973 dell’attrice Franca Rame ci dice tutto.

LA CASERMA DI VIA LAMARMORA

Il sequestro si consumò il 9 marzo 1973. Franca Rame all’epoca era molto impegnata insieme al marito, Dario Fo, non solo nell’attività teatrale, ma anche, attraverso Soccorso rosso, in favore dei carcerati e in particolare dei detenuti di estrema sinistra. Venne quel giorno, in Via Nirone, fatta salire a forza su un furgone, sottoposta a violenza carnale e successivamente abbandonata in un parco. Gli autori del gravissimo episodio rimasero per moltissimi anni sconosciuti.

Una prima indicazione sui responsabili materiali giunse solo nel 1987. A fornirla fu Angelo Izzo, uno degli autori del “massacro del Circeo” (l’uccisione tra il 29 ed il 30 settembre1975 di Rosaria Lopez di 19 anni e lo stupro di Donatella Colasanti di 17 anni ad opera di tre fascisti), che nel corso di alcune dichiarazioni rese al Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano, Dr.ssa Maria Luisa Dameno, confessò di aver appreso in carcere che il principale responsabile dell’aggressione era stato Angelo Angeli e che l’azione era stata “suggerita” da alcuni ufficiali dei Carabinieri della Divisione Pastrengo.

Nell’ambito dell’istruttoria negli anni Novanta condotta dal giudice Guido Salvini sulle attività eversive dei gruppi di estrema destra che porterà all’ultimo processo sulla strage di piazza Fontana, emersero altri particolari e altre conferme.

In particolare fu Biagio Pitarresi, figura di rilievo della destra milanese negli anni Settanta, all’epoca vicino al gruppo La Fenice prima di transitare nei ranghi della malavita comune, a raccontare in un interrogatorio del maggio 1995, che l’azione contro Franca Rame era stata in un primo momento proposta proprio a lui, ma egli si era rifiutato ed era quindi subentrato Angelo Angeli il quale aveva materialmente agito con altri camerati, fra cui un certo Muller e un certo Patrizio.

Biagio Pitarresi soprattutto confermò che l’azione era stata ispirata da alcuni ufficiali dei Carabinieri della Divisione Pastrengo, con i quali lo stesso Pitarresi insieme ad Angeli era da tempo in contatto in funzione sia informativa sia di supporto in attività di provocazione contro gli ambienti di sinistra. Ancora nel marzo 2009 Pitarresi ribadì che l’episodio della violenza era stato deciso nella caserma dei carabinieri di via Lamarmora a Milano, e che gli esecutori erano “sanbabilini” facendo i nomi di Angelo Angeli (delle Sam), che ricevette direttamente l’incarico da un ufficiale dell’Arma, tale capitano Rossi, di Dario Panzironi (soprannominato Himmler) e di Patrizio Moretti. Con loro, disse, poteva anche esserci Roberto Bravi. Questa ricostruzione sulle responsabilità dei Carabinieri fu confermata dal generale Bozzo, all’epoca dei fatti tenente di stanza alla caserma Lamarmora, che testimoniò il fatto che in caserma si era brindato e che il generale Palumbo, il comandante dell’Italia del Nord dei Carabinieri, parlando in ufficio con il suo segretario personale, all’arrivo della notizia, esclamasse «finalmente!».

«Anche il probabile coinvolgimento quali suggeritori dell’azione di alcuni ufficiali della Divisione Pastrengo», scrisse nel febbraio 1988 il giudice istruttore Guido Salvini, «alla luce delle complessive emergenze istruttorie di questi ultimi anni, non deve certo stupire. Si ricordi che […] il Comando della Divisione Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, nella prima metà degli anni Settanta, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso, quali la copertura dei traffici di armi organizzati dal Mar di Carlo Fumagalli».

Giovanbattista Palumbo, già aderente alla Rsi, aveva raccolto ancor prima attorno a sé i principali collaboratori del generale Giovanni De Lorenzo all’epoca del Sifar, come il colonnello Dino Mingarelli, uno degli estensori nell’estate del 1964 del cosiddetto Piano Solo, volto a sovvertire la Repubblica. Alla fine risultò essere iscritto alla P2, come il capo di stato maggiore dell’Arma Franco Picchiotti.

La storia di San Babila e delle protezioni ai picchiatori fascisti hanno nomi e cognomi.

SAVERIO FERRARI

Milano, Novembre 2016

Alberto Panaro

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