Takahiro Shiraishi

La condanna a morte di cui si discute in Giappone Il tribunale di Tokyo ha condannato a morte Takahiro Shiraishi, l’uomo soprannominato dai giornali giapponesi “il killer di Twitter”, per aver ucciso e fatto a pezzi nove persone, otto delle quali conosciute e adescate sui social network. Tra l’agosto e l’ottobre del 2017 Shiraishi aveva contattato alcune persone che avevano espresso pensieri suicidi su internet e le aveva attirate nel suo appartamento a Zama – una cinquantina di chilometri a sud di Tokyo – con il pretesto di aiutarle a morire. Il caso di Shiraishi sta facendo discutere per la crudezza dei suoi omicidi e il ruolo che hanno avuto i social media nella vicenda, ma ha anche aperto un dibattito rispetto agli spazi in cui si può chiedere aiuto se si sta pensando al suicidio, che in Giappone è un problema diffuso. Shiraishi era stato arrestato dalla polizia il 31 ottobre del 2017, a 27 anni, dopo che nel piccolo appartamento dove viveva da pochi mesi erano state trovate due teste umane e pezzi di cadaveri in stato di decomposizione, conservati in vari frigo portatili o dentro delle scatole. Nel loft di 13,5 metri quadrati vennero trovate in totale 240 ossa appartenenti a otto donne e un uomo, tra i 15 e i 26 anni, che Shiraishi aveva drogato, violentato, strangolato e fatto a pezzi. Shiraishi era stato accusato formalmente nel settembre del 2018 e la condanna a morte è arrivata dopo 23 udienze. Shiraishi disse poi alla polizia di aver ucciso le altre persone, contattate su internet, per paura che lo avrebbero denunciato per le violenze sessuali subite, e di aver «fatto a pezzi i cadaveri nel bagno per distruggere le prove». Aggiunse di aver «gettato la carne e gli organi nella spazzatura» ma di aver «conservato le ossa per paura di essere scoperto». (...) Durante il processo, iniziato il 30 settembre, Shiraishi si è sempre dichiarato colpevole: aveva confessato gli omicidi e spiegato agli investigatori di aver ucciso le nove persone «per motivi di denaro» e «per soddisfare i suoi desideri sessuali, senza alcun consenso», aggiungendo che nessuna di loro voleva davvero morire. (...) Martedì i giudici hanno stabilito che le persone non potevano in alcun modo aver dato il loro consenso a essere uccise, anche perché durante gli interrogatori Shiraishi aveva detto che mentre lui le strangolava loro opponevano resistenza (secondo la difesa, erano «riflessi condizionati»). Secondo i giudici, che hanno descritto gli omicidi come «estremamente violenti», mentre uccideva le persone Shiraishi era inoltre pienamente lucido, come avevano dimostrato cinque mesi di perizie psichiatriche. (...)

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