Gentilezza
“Anche l’odio contro la bassezza stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia fa roca la voce.
Oh, noi che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, non si poté essere gentili”.
(Bertolt Brecht).
La notte tra il 2 e il 3 giugno 1944 a San Vito di Leguzzano (VI) giunse la Squadra d’azione del Fascio repubblicano di Schio, composta da: Bruno Marchesini, Domenico Marchioro, Paolo Sturmo, Natale Pozzati, Renato Prati, Umberto Bettini, Oreste Ceccon e Augusto Costeniero.
Il loro intervento era stato richiesto da Giulio Ultimo Ziliotto, Commissario prefettizio del paese, che in una lettera al Comando provinciale della GNR aveva lamentato come, a causa della mancanza di un presidio, San Vito fosse frequentata dopo il coprifuoco da sbandati e renitenti alla leva e alla precettazione al lavoro.
Giunti in via Cesare Battisti, gli squadristi incrociarono un giovane, Lino Zordan, che, datosi alla fuga, fu soppresso con una raffica di mitra alla schiena. Svegliato dagli spari un civile, Natale Benetti, si affacciò alla finestra della camera e fu a sua volta ucciso da una raffica sparata al suo indirizzo. Seguì un breve scontro a fuoco con un gruppo di partigiani, durante il quale due squadristi, Bruno Marchesini e Paolo Sturmo, furono feriti e condotti poco dopo in ospedale.
Il mattino successivo giunse in paese un’altra squadra comandata da Innocenzo Passuello, segretario del Fascio di Schio e futuro “boia del Grappa”, che appiccò il fuoco all’abitazione dei fratelli Micheletto, partigiani sanvitesi da tempo ricercati. Le fiamme si estesero alle abitazioni vicine e nel tentativo di domarle un civile, Armando Campagnolo, padre di 6 figli, cadde in mezzo alle fiamme, rimanendo ustionato in quasi tutto il corpo. Morì dopo due giorni di terribile agonia.
Su ordine del Questore, Lino Zordan e Natale Benetti furono caricati su un carretto e fatti sfilare per le vie di Schio, a monito della popolazione, dopo di che furono sepolti alle 5 del mattino, senza alcuna cerimonia e con il divieto di portare fiori.
Era l'inizio del terribile “mese di fuoco” che a San Vito si concluse con la deportazione in Austria di 20 giovani, due dei quali non tornarono.
Tre giorni più tardi giunse la rappresaglia partigiana. Bruno Marchesini e Paolo Sturmo furono freddati con 140 colpi sul loro letto all’Ospedale di Schio. Ma non finì così.
Il 3 maggio 1945 Domenico Marchioro, assieme ad altri quattro fascisti, fu condotto a Pedescala e affidato alle cure delle donne sopravvissute alla strage compiuta dai nazifascisti in ritirata tre giorni prima, che li soppressero brutalmente. Si narra che furono fatti a pezzi con le roncole.
Due mesi più tardi, nel cosiddetto “eccidio di Schio”, Giulio Ultimo Ziliotto e Umberto Bettini furono uccisi dalle raffiche partigiane.
Gli altri squadristi, malgrado le numerose denunce presentate per quello e altri crimini commessi, riuscirono a sfangarla e, dopo una breve detenzione, a morire nel proprio letto.
No. Come diceva Bertolt Brecht, non si poté essere gentili.
E chi lo fu, se ne pentì amaramente.
Ugo De Grandis
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