Sulla fotografia

Gran parte dell’arte moderna si sforza di abbassare la soglia del terribile. Abituandoci a ciò che, un tempo, non sopportavamo di vedere o di udire, perché troppo scandaloso, doloroso o imbarazzante, l’arte modifica la morale, cioè quell’insieme di consuetudini psichiche e di sanzioni pubbliche che traccia un limite tra ciò che è emotivamente e spontaneamente intollerabile e ciò che non lo è. La graduale eliminazione del disgusto ci avvicina a una verità piuttosto formale: quella dell’arbitrarietà dei tabù eretti dalla morale e dall’arte. Ma la nostra capacità di sopportare il crescente grottesco delle immagini (fisse e in movimento) e delle parole scritte ha un prezzo oneroso. Alla lunga, non è una liberazione ma una riduzione dell’io: una pseudofamiliarità con l’orribile rafforza l’alienazione e diminuisce la nostra capacità di reagire ad esso nella realtà. 

 Susan Sontag, “L’America in fotografia” in ead., Sulla fotografia, Einaudi 2004, pp. 36-37

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