Rainbow Warrior

La storia della Rainbow Warrior (...) il nome Rainbow Warrior trae ispirazione da una profezia dei nativi americani Cree, un popolo indigeno dell’America del Nord, secondo cui “quando il mondo sarà malato e sofferente, gli uomini si uniranno per difenderlo, come dei guerrieri dell’arcobaleno”. Poco prima della mezzanotte del 10 luglio 1985, trent’anni fa, la Rainbow Warrior fu affondata nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda, da due bombe, che causarono la morte di un fotografo che si trovava a bordo. Le bombe furono messe dal DSGE, il servizio segreto francese che si occupa delle operazioni all’estero: la Rainbow Warrior si sarebbe infatti dovuta dirigere a breve verso l’atollo polinesiano di Mururoa, per protestare contro i test nucleari che la Francia stava svolgendo. Prima di arrivare al porto di Auckland la Rainbow Warrior era stata a Rongelap, un altro atollo della Polinesia, e – scrive Greenpeace – aveva aiutato circa 350 abitanti dell’isola a spostarsi verso un’altra isola, Mejato, dopo che Rongelap era stata “pesantemente contaminata dai test atomici condotti dagli Stati Uniti in quell’area”. Dopo il successo di quell’operazione si parlò molto di Greenpeace e della Rainbow Warrior; i servizi segreti francesi decisero quindi di sabotare la nave per impedirle di dirigersi verso Mururoa. Le due bombe messe all’esterno dello scafo della Rainbow Warrior ne causarono l’affondamento. Le due bombe non esplosero insieme ma a distanza di alcuni minuti, e fu questo a causare la morte per annegamento di uno dei 14 membri dell’equipaggio della Rainbow Warrior: il fotografo Fernando Pereira, olandese di origini portoghesi. Dopo la prima esplosione Pereira decise infatti di andare sottocoperta per recuperare la sua attrezzatura fotografica, e fu in quei momenti che esplose la seconda bomba. Dopo la morte di Pereira e l’affondamento della Rainbow Warrior, iniziò un’indagine che rivelò che le bombe furono messe da due agenti dei servizi segreti francesi, che furono arrestati e in seguito affidati all’esercito francese, che li tenne in custodia nella base militare dell’isola di Hao, un atollo del pacifico sotto giurisdizione francese. Gli agenti furono definitivamente liberati in meno di due anni. Nei mesi successivi all’affondamento della Rainbow Warrior, il primo ministro francese Laurent Fabius tenne una conferenza stampa in cui ammise le colpe della Francia; il ministro della Difesa francese, Charles Hernu, si dimise. Il governo francese e Greenpeace concordarono l’istituzione di una corte d’arbitraggio internazionale, con sede a Zurigo, in Svizzera: nell’ottobre del 1987 la corte decise che il governo francese doveva pagare 8,1 milioni dollari a Greenpeace. David McTaggart, presidente di Greenpeace, commentò quella decisione dicendo: «È una grande vittoria per quelli che difendono il diritto alla protesta pacifica e ripudiano l’uso della violenza». Nel dicembre del 1987 il relitto della Rainbow Warrior – che già in precedenza era stato riportato in superficie per delle perizie legali – fu trasportato verso Matuari Bay, in Nuova Zelanda, dove è diventata una barriera artificiale: un corrispettivo della barriera corallina creato per ospitare pesci e favorire la biodiversità marina. (...) 

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