Una storia vera
Mi chiamo Gina e ho una mucca. La mucca la mungo tutte le mattine e tutte le sere. Devo nascondere il latte, perché quando è l'ora della mungitura loro arrivano. Li sento da lontano. Picchiano gli stivali sul selciato e ridono forte. Sono sempre in gruppetti di quattro o cinque, perché così esprimono meglio la loro prepotenza, si fanno forti l'uno con l'altro. Da soli non sono poi così tanto coraggiosi. Quando sento che sono davanti alla porta della stalla comincio a sudare, perché so come va a finire, ma temo sempre che possa succedere qualcosa di grave. Hanno i fucili e quando spalancano con un calcio il portone ce li puntano addosso, a noi che siamo armati solo di rastrello e forcone di legno per dare il foraggio alle bestie, ma che abbiamo una voglia matta di romperglielo in testa. Il papà dice di stare calmi, di lasciarli fare, che poi son contenti delle loro mascalzonate e se ne vanno. Ci gridano sempre le solite cose, che loro sono i più forti e che mio papà dovrebbe unirsi a loro, ma lui risponde che deve occuparsi della campagna e della stalla, che ha cinque figli di sfamare e non può permettersi di andare in giro a fare il gradasso come loro tutto il giorno. E loro lo spintonano o gli sferrano un colpo con un calcio del fucile nello stomaco. E io piango in silenzio, ogni volta che vedo mio papà maltrattato, ma so che lo fa per noi, per difenderci, perché non crede alla loro propaganda, anzi la pensa proprio diversamente, e loro lo sanno, per questo vengono ogni giorno a rovesciarci con un calcio il secchio del latte appena munto o a sparpagliare di nuovo il fieno appena messo in cascina o a bruciare la legna accatastata o portarci via il grano. Dobbiamo sempre lasciare mezzo secchio di latte, così da permettere loro di farci paura. Li conosciamo tutti, il paese è piccolo, con alcuni siamo anche parenti. Mia mamma scuote la testa e si fa il segno della croce ogni volta che se ne vanno, ringraziando Dio che non sia successo nulla di più grave di un latte versato.
Questa mattina ho sentito scarponi marciare sul selciato, mi aspettavo di vederli entrare con il loro solito ghigno di disprezzo, invece ho sentito i passi tirare diritto sulla strada. Allora ho sbirciato dall'uscio e ho visto giovani marciare. Anche loro avevano il fucile in spalla, ma erano vestiti in modo diverso, erano stanchi, sudati, ma sorridevano. Mi sono affacciata all'uscio e uno di loro passando mi ha fatto una carezza "sorridi bellezza" mi ha detto "l'Italia è libera!".
Zia Gina (1933-2008)
Laura Ottina
I Viaggiatori Ignoranti
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