Erasmo e le zanzare

Vorrei scrivere di un’altra amicizia nata nel penultimo autunno. La ritengo significativa. Mostra la comunanza che può sorgere tra creature infelici. Ero in cella di isolamento da quattro mesi. Da tutto questo tempo non vedevo un’anima. Solo uniformi: inquisitori e secondini. Un giorno notai tre zanzare nella cella. Stavano lottando duramente per resistere al freddo, che cominciava a farsi sentire. Di giorno dormivano sulla parete, di notte venivano a ronzarmi attorno. All’inizio mi esasperavano. Ma, per fortuna, non impiegai molto tempo a capire che anch’io stavo lottando duramente per sopravvivere all’ondata di freddo. Una goccia di sangue le avrebbe salvate. Non potevo rifiutare. All’imbrunire mi scoprivo il braccio e le aspettavo. Dopo qualche giorno si abituarono e non ebbero più paura. Mi si avvicinavano con tutta naturalezza, apertamente. Di questa fiducia sono loro debitore. Grazie a loro, il mondo non si limitava più a un’aula d’interrogatorio. Poi, un giorno, fui trasferito in un altro carcere. Non rividi mai più le mie zanzare. È così che si viene privati della presenza degli amici nel mondo arbitrario delle prigioni. Ma si continua a pensarli spesso.

(Dal libro “Scrittori dal carcere”, lettera “Erasmo e le zanzare”, di George Mangakis, un professore di legge, messo in carcere per motivi politici, ideologici.)

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