L'amara provocazione: “Quanti palestinesi morti sono troppi?

E’ il titolo di un articolo-analisi di una delle firme storiche del giornalismo israeliano: Zvi Bar’el.

“Il capo di stato maggiore Aviv Kochavi - scrive Bar’el su Haaretz - ha chiesto ai comandanti superiori del comando centrale di agire per ridurre i casi di sparatorie contro i palestinesi in Cisgiordania”, secondo un articolo di Yaniv Kubovich su Haaretz di martedì. Presumibilmente non ci potrebbe essere una confutazione più clamorosa dei commenti del giornalista Gideon Levy su Kochavi, nel senso che ‘un comandante dell'esercito che non ha nulla da dire su queste uccisioni metodiche contribuisce ancora di più al degrado dell'esercito’.

Qui abbiamo un capo di stato maggiore che presta attenzione ai sentimenti della gente, che capisce che gli atti di omicidio compiuti in suo nome in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non vanno giù facilmente al pubblico, anche se si tratta di una piccola minoranza. Si alza come un leone per fermare il crimine e “chiede” ai suoi ufficiali superiori di tenere d'occhio il comportamento indisciplinato. (…)

La questione importante è come attuare la richiesta di Kochavi sul terreno. Quanti palestinesi innocenti siamo autorizzati a uccidere prima che si accenda una conflagrazione? Ogni brigata o compagnia riceverà una quota mensile o annuale di morti che non deve essere superata? Possiamo già sentire le grida di dolore dei leader dei coloni che il capo di stato maggiore non lascia vincere l'IDF. Possono smettere di preoccuparsi - Kochavi ha chiesto solo di abbassare le fiamme, non di spegnerle. Ha chiesto solo agli ufficiali dell'IDF, non a loro. I coloni non sono subordinati a lui, e le loro armi, comprese quelle appartenenti ai soldati che usano occasionalmente, sono libere da restrizioni.

(…) Da maggio, più di 40 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania. Manca solo che il portavoce dell'IDF presenti con orgoglio questa scoperta come prova delle “lezioni imparate”. Senza di essa, potrebbe affermare, 80 palestinesi, o forse 100, sarebbero stati uccisi. (…) In una dichiarazione diffusa il 24 giugno, Amnesty International ha accusato la polizia israeliana di aver commesso, durante e dopo il confitto in Israele e a Gaza, una lunga serie di violazioni dei diritti umani ai danni dei palestinesi in Israele e a Gerusalemme Est occupata, attraverso una campagna repressiva basata su arresti di massa, uso illegale della forza contro manifestanti pacifici, maltrattamenti e torture.

Inoltre, la polizia israeliana non ha protetto i cittadini palestinesi di Israele da attacchi premeditati di gruppi di suprematisti ebraici armati, persino quando tali attacchi erano stati resi noti in anticipo e la polizia ne era o avrebbe dovuto esserne a conoscenza. (…) Anche rappresentanti politici e del governo hanno incitato alla violenza. Tra questi il deputato Itamar Ben-Gvir, di “Potere ebraico”, che ha incitato i suoi sostenitori a recarsi a Lod e in altre città e invocato l’uccisione di chi lanciava pietre, e il sindaco di Lod, Yair Revivo, che ha descritto gli eventi in corso in città come un pogrom contro gli ebrei. Gli arresti di quattro sospetti per l’uccisione di un palestinese di nome Musa Hassuna sono stati descritti dal ministro per la Sicurezza pubblica Amir Ohana “un fatto terribile”: dopo tre giorni sono stati rimessi in libertà su cauzione.

“Il fatto che cittadini ebrei di Israele, anche noti, abbiano potuto incitare apertamente alla violenza contro i palestinesi senza subire conseguenze descrive il livello di discriminazione istituzionalizzata ai danni dei palestinesi ed evidenzia l’urgente bisogno di protezione da parte di questa comunità”, afferma Molly Malekar, direttrice di Amnesty International Israele.

Una protezione negata. Da sempre. 

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