Spose bambine

Chi sono le spose bambine Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) nel mondo sono 650 milioni le giovani che si sono sposate da minorenni, o addirittura bambine, nella maggioranza dei casi in matrimoni combinati dalle famiglie. Secondo le previsioni dell’UNFPA nel 2030 saranno 150 milioni in più. Sono oltre 30mila le bambine private dei loro diritti che ogni giorno vengono “date in sposa”, senza che abbiano la possibilità di opporsi, spesso a persone molto più grandi di loro. I matrimoni precoci hanno conseguenze gravissime su milioni di bambine e giovani donne per diversi motivi. Questi matrimoni causano abbandono scolastico, favoriscono casi di violenza e abusi domestici, isolamento sociale e mancanza di indipendenza ed emancipazione. Le gravidanze precoci inoltre hanno elevati rischi di mortalità sia per la madre che per il bambino: le complicanze legate a gravidanza o parto, sempre secondo il rapporto dell’UNFPA, sono la prima causa di morte per le adolescenti tra i 15 e i 19 anni, in tutto il mondo. (...) Samiun, che oggi ha vent’anni, quando ne aveva dodici è stata obbligata a sposarsi. Samiun e la sua famiglia vivono in Bangladesh e fanno parte dei Rohingya, una minoranza etnica originaria del Myanmar. I suoi genitori la fecero sposare il prima possibile poiché in alcune regioni dell’Asia meridionale più la sposa è giovane, più la dote (cioè la cifra che tradizionalmente la famiglia della sposa versa allo sposo) è bassa. Inoltre così avrebbero avuto una persona in meno da dover sfamare. Samiun cercò di scappare da suo marito due volte: tornata dai suoi genitori, fu prima picchiata, poi riportata dal marito. Suocera e cognata la convinsero infine che concentrarsi sui figli l’avrebbe aiutata. Così Samiun rimase incinta una prima e poi una seconda volta. Oggi Samiun è riuscita a riconquistare la propria indipendenza anche grazie ad ActionAid, che nell’ambito del lavoro nelle comunità è riuscita ad intercettarla e ad intervenire per ridarle la possibilità di un futuro differente. «Prima non avevo la libertà di muovermi e parlare con altre persone», racconta Samiun. «Oggi invece posso uscire e incontrarmi con altre ragazze. Aiuto le altre giovani a mantenere la propria libertà, spiegando quanto sia importante». (...) A livello globale oggi, secondo i dati raccolti dall’UNFPA, i matrimoni precoci sono il 21 per cento del totale (nel 2006 erano il 25 per cento). Nel 1990 erano il 60 per cento in Asia meridionale, mentre oggi le percentuali più alte si registrano in Africa centrale e occidentale (40 per cento) e in quella orientale e meridionale (34 per cento). In America Latina e nei Caraibi, una ragazza su quattro si è sposata prima dei 18 anni; in alcune aree di quelle regioni sono però più di una su tre. (...) I matrimoni precoci sono molto diffusi soprattutto in zone rurali molto povere e con bassissimi livelli d’istruzione, in cui le bambine sono considerate dalle famiglie come un peso, in quanto ritenute meno utili per il lavoro in campagna rispetto ai figli maschi. In alcune culture, come si è visto per la storia di Samiun, le famiglie decidono di far sposare le figlie da bambine per pagare così una “dote” più bassa vista la giovane età. In altre culture, come quelle dei popoli dell’Africa subsahariana, è invece lo sposo a dover pagare la dote alla famiglia della sposa, e il prezzo è maggiore se l’età è minore: si tratta del cosiddetto “prezzo della sposa”. Le famiglie, quindi, sono incentivate a vendere le proprie figlie da bambine per ricavare più denaro. Secondo le stime della Banca Mondiale esposte nel rapporto dell’UNFPA, oltre alle sofferenze umane, nei 12 paesi in cui è più diffusa la pratica le conseguenze sociali dei matrimoni precoci tra il 2017 e il 2030 causeranno anche una perdita economica di capitale umano stimata in 63 miliardi di dollari, cioè molto di più di quanto gli stessi Paesi abbiano ricevuto tramite gli aiuti allo sviluppo ufficiali. Non studiando, uscendo quasi completamente dalla società, queste ragazze sono una risorsa persa per le stesse comunità e i Paesi in cui la pratica è diffusa e, molto spesso, culturalmente accettata nonostante sia vietata dalla legge. (...) 

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