Voglia di vivere

A gennaio del 2018 ci comunicarono che mia madre aveva un tumore: adenocarcinoma polmonare non a piccole cellule al quarto stadio. Nella migliore delle prognosi prospettate, tra tutti i medici contattati per valutare il suo caso, c’era una sola risposta: sei mesi, non oltre, se il tumore si fosse rivelato resistente alle terapie a disposizione in quel momento.

In quei momenti, di grazia, hai due scelte: affidarti alla disperazione o prendere tutta quella paura e utilizzarla per contrastare il mostro. In quei momenti, inoltre, hai anche due strade: metterti nelle mani dei medici, della scienza, delle terapie disponibili in quella fase storica, oppure lasciarti andare a strade alternative che, chi si ritrova nella disperazione più assoluta, ha buona probabilità di poter intraprendere. Noi, fortunatamente, le evitammo come si evita la peste.

Ce ne consigliarono tante. La terapia Di Bella, che non conoscevo bene, salvo poi - dopo diverse ricerche - scoprire che in quel momento non esistevano documentazioni scientifiche che dimostravano l'efficacia di questa combinazione di sostanze come cura contro il cancro (neppure ad ora, a dire il vero). Le cure omeopatiche, sono serio. Le bacche, ve lo giuro. I santoni, molti.

Nessuna cura, che sarebbe passato da solo e basta. Ogni cosa che non fosse medicina, che non fosse scienza, che fosse alternativa e priva di qualsiasivoglia dimostrazione come cura efficace di un cancro al quarto stadio.

Ci venne consigliato di tutto ed in quei momenti il rischio di cedere è alto, altissimo.

Non cedemmo, non ci siamo mai arresi.

L’oncologa di mia madre stiló un protocollo chiaro e preciso: secondo la biologia di quel tipo di tumore, potevamo procedere immediatamente con un ciclo di immunoterapia.

Una terapia mai sentita prima, alternativa alla chemioterapia classica in prima linea, che avrebbe potuto portare dei benefici eccellenti. Una terapia che se fosse stata disponibile 20 anni fa, chissà quante vite avrebbe allungato e salvato.

Sti benefici li portó, in soli 4 mesi. Mia madre rinacque in tre settimane appena.

Non ci chiedemmo mai cosa ci fosse dentro. Non ci chiedemmo mai quali componenti chimici costituivano quel farmaco: non lo avremmo compreso, mai. Non avremmo avuto gli strumenti per farlo perché mia madre non é medico, io mi occupo di tutt’altro e ai miei fratelli piace il calcio. Sapevamo solamente come il farmaco agiva ed in che modo supportava l’azione del sistema immunitario: non sapevamo altro oltre questo.

Ci fidammo, della scienza, dei medici, di chi ogni giorno studia e si fa il mazzo per trovare la migliore cura possibile a tutto. Quella possibile, quella probabile, non sempre quella certa. Un tentativo che avrebbe potuto funzionare. Non ci fidammo, invece, di chi ci consiglió tutto ciò che non aveva un minimo di fondamento. Zero, lo zero assoluto.

Nessuna dimostrazione a favore. Questo vale per mia madre, vale per migliaia di altre persone. Vale per milioni di persone che accompagnano i malati in questo dramma apparentemente sempre senza fine e che devono, con loro, fare delle scelte. Delle scelte che stravolgono le vite delle persone.

Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se non ci fossimo affidati ai medici. Me lo chiedo ancora oggi, quando oramai chiunque sembra avere la possibilità di elargire tesi e soluzioni a destra e a manca per curare un virus, un batterio, un’influenza, e non si comprende mai dall’alto di quali studi o dimostrazioni. Hanno sempre la risposta a tutto, non si comprende mai come. Non lo si capisce neppure e soprattutto quando la realtà, al contrario, gli dimostra l’opposto. Sbattendogli in faccia i numeri, i morti, le storie drammatiche.

Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se mia madre avesse deciso di mangiare bacche anziché sottoporsi ad una terapia: mi chiedo se questi tre anni in più rubati al mostro, se la riduzione delle metastasi e della lesione principale, sarebbero mai stati possibili. Mia madre avrebbe mai ritrovato la capacità di riprendere a respirare senza affanno e poter percorrere due rampe di scale senza sentirsi morire? Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi risposto all’oncologa “io non so cosa c’è dentro”.

Mi chiedo cosa avreste fatto voi. Cosa avreste scelto? Me lo chiedo e al tempo stesso mi ringrazio, ringrazio me stesso, per essere stato la forza di mia madre, la mia quando avrei voluto solo dissolvermi e sparire e quella della mia famiglia. Mi ringrazio per non aver ceduto alla disperazione, consapevole che qualcuno ci cade dentro definitivamente e non ne esce più.

Mi ringrazio per non essere stato come quelli che oggi ci definiscono pecore, servi del sistema (non si capisce ancora quale), complici della dittatura sanitaria. Mi chiedo ancora quali scelte farebbero anche loro davanti ad una notizia del genere: mi chiedo cosa scegliereste se il Coronavirus avesse un nome diverso. Tipo “cancro al quarto stadio”.

Perciò ringrazio mia madre, e tutte le persone come lei, che nonostante avrebbero potuto fare una scelta diversa, hanno deciso di affidarsi a chi, ogni giorno, vorrebbe trovare per loro la soluzione migliore. Non quella certa, la più efficace.

Non sappiamo cosa ci sia stato in questi tre anni dentro quelle sacche di immunoterapia o chemioterapie, ma io so cosa c’è stato nelle scelte di una donna nel volerci provare a tutti i costi, evitando il rischio di abbandonarsi a teorie trovate in qualche pagina dispersa del web.

La voglia di vivere, di sopravvivere, di strappare tempo. Ecco cosa c’era e c’è in quelle sacche di farmaco. Ecco cosa c’è nelle conquiste della medicina.

Marco Mancini

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