Heinz Kohut in La ricerca del Sé

Heinz Kohut in La ricerca del Sé (Bollati Boringhieri) cita due libri della cultura occidentale in cui la rabbia sembra evidenziarsi allo stato puro: Michael Kohlhaas (1808) di Kleist, dove l’insaziabile ricerca della vendetta manifesta una grave ferita narcisistica, e poi Moby Dick di Melville, in cui Achab è travolto da una implacabile rabbia narcisistica. Kohut si spinge addirittura a indicare nella rabbia dopo la sconfitta nella guerra, e l’umiliazione del 1918, la causa dell’adesione dei tedeschi al nazismo. L’analisi dello psicoanalista è complessa, dal momento che ritiene il narcisismo non colpevole in toto dello scatenamento rabbioso. A suo parere l’aggressività umana è più pericolosa quando si connette a due “costellazioni psicologiche assolutizzanti: il Sé grandioso e l’oggetto arcaico onnipotente”. Per spiegarsi, aggiunge che la più orribile distruttività umana non la s’incontra sotto forma di comportamenti selvaggi, regressivi o primitivi, ma come “attività ordinate e organizzate nelle quali la distruttività umana degli esecutori è amalgamata con la convinzione assoluta circa la grandezza e con la devozione a figure arcaiche onnipotenti”. Cita il caso di Himmler e dei quadri delle S.S., una tesi che richiama inevitabilmente quella della Arendt sulla “banalità del male”: i carnefici sono i pacifici vicini della porta accanto, non dei selvaggi che urlano, sbraitano e compiono atti teppistici. Probabile. Ma il problema della rabbia resta, della sua natura e funzione. Kohut non nega che la rabbia narcisistica appartenga all’ampia zona della aggressività, della collera e distruttività umana, ma, dice, è un fenomeno circoscritto. Leggendo le sue pagine si ha la sensazione che Pasolini rientri in questa categoria; innegabile che dai suoi versi, dai racconti, dalle frasi degli articoli, emani un che di violento, insieme a un’insondabile e assoluta dolcezza: la rabbia è decisiva nella costituzione della sua identità di artista. 

Marco Belpoliti

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