La Russia di Putin

Il 14 marzo sono rimasta a lungo sulla soglia del seggio di via Dolgorukij, la ex via Kaljaev così ribattezzata da El'cin (Kaljaev era un terrorista dei tempi dello zar poi assurto al grado di rivoluzionario, mentre ai tempi di Kaljaev e prima dei bolscevichi il principe Dolgorukij aveva una tenuta in quella zona di Mosca). Ho parlato con la gente che andava a votare e che tornava dopo aver sbrigato la procedura. Erano apatici. Del tutto indifferenti al rito della rielezione di Putin. Vogliono che lo rieleggiamo? Amen, mi hanno detto in molti. Qualcuno ci ha persino scherzato su: “Chissà, magari via Dolgorukij tornerà a essere via Kaljaev…”. Del resto il revanscismo sovietico seguito all'ascesa e al consolidamento del potere di Putin è lampante. A renderlo possibile, però - e va detto -, non sono state solo la nostra negligenza, l'apatia e la stanchezza seguite a tante - troppe - rivoluzioni. Il processo è stato accompagnato da un coro di osanna in Occidente. In primo luogo da Silvio Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa. Ma anche da Blair, Schroeder e Chirac, senza dimenticare Bush junior oltreoceano. Il nostro ex K.G.Bista non ha trovato inciampi sul suo cammino. Né in Occidente, né in un'opposizione seria all'interno del Paese. Per tutta la sua cosiddetta campagna elettorale - dal 7 dicembre del 2003 al 14 marzo 2004 - Putin si è fatto beffe del suo elettorato. In primo luogo perché si è rifiutato di discutere alcunché con chiunque. Non ha mai ritenuto opportuno fornire spiegazioni riguardo a qualsiasi punto del suo programma per i quattro anni precedenti. Ha mostrato disprezzo non solo per i rappresentanti dell'opposizione, ma per l'opposizione in quanto tale. Non ha fatto promesse. Non ha fatto appelli. Come in era sovietica, la televisione lo mostrava quotidianamente in tutte le sue ipostasi politiche: per esempio mentre riceveva i più alti funzionari nel suo ufficio del Cremlino e forniva loro consigli preziosi su come gestire il ministero o l'ente di loro competenza. A qualcuno scappava da ridere: pare Stalin, dicevano. Anche lui era “amico dei bambini”, “miglior allevatore di suini”, “minatore eccelso”, “compagno dei ginnasti”, “primo cineasta” e quant'altro. Ma le risatine sono rimaste tali, e le emozioni si sono disperse come sabbia. Il fatto che non ci siano stati dibattiti non ha portato a rimostranze degne di questo nome. Va da sé che, non incontrando resistenza, Putin si è fatto ancora più insolente. Non è vero che non guardi in faccia niente e nessuno, che nulla lo turbi e che si limiti a portare avanti la sua linea per restare in sella. Le guarda, le facce, eccome. La osserva attentamente, la nazione che ha sotto di sé. E lo fa perché è un cekista, uno sbirro della polizia segreta. Il suo è il tipico comportamento di chi ha lavorato per il K.G.B. Per dare informazioni in pasto all'opinione pubblica sceglie una ristretta cerchia di persone. Persone che nel nostro caso sono il bel mondo politico della capitale. Lo scopo è tastare il terreno e sondare le reazioni. Se non ce ne sono, o se la reazione è amorfa, gelatinosa, tutto procede per il meglio e si può continuare, si può andare avanti a diffondere le proprie idee e agire come si ritiene opportuno senza troppe remore. Una breve parentesi. Non su Putin, ma su noi russi. I putiniani - quelli che l'hanno messo dov'è, che volevano che salisse al trono una prima volta, quelli che ora siedono nell'ufficio del presidente e di fatto guidano il Paese (non il governo, che esegue le volontà del presidente, e non il Parlamento, che ratifica le leggi che il presidente vuole) - seguono con grande attenzione le reazioni dell'opinione pubblica. Non è vero che se ne infischiano. E ciò significa una cosa importantissima: i veri responsabili di quanto sta accadendo siamo noi. Noi, e non Putin. Il fatto che la nostra reazione a lui e alle sue ciniche manipolazioni si sia limitata a sparuti borbottii da cucina gli ha garantito l'impunità nei primi quattro anni di mandato. La nostra apatia è stata senza confini e ha concesso a Putin l'indulgenza plenaria per i quattro anni a venire. Le nostre reazioni a quel che ha detto e fatto non sono state solo fiacche, ma impaurite. Abbiamo mostrato di aver paura dei cekisti, inducendoli a perseverare nel trattarci da popolo bue. Il K.G.B. rispetta solo i forti, i deboli li sbrana. E lo dovremmo sapere, ormai. Invece ci siamo scelti la parte dei deboli e siamo stati sbranati. La paura è pane per i denti di un cekista. Non c'è nulla di meglio, per lui, del sentire che la massa che vorrebbe sottomettere trema come una foglia. Era ciò che volevano. Giornali e televisione traboccavano della nostra paura. L'opposizione non faceva che ripetere quanto grande fosse il pericolo - e dunque la sua paura - che Putin fosse rieletto… E anche lei è stata sbranata.” —  

Anna Politkovskaja - La Russia di Putin


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