Fratello satana

Miroslav Filipović, frate francescano, durante la Seconda Guerra Mondiale in Jugoslavia partecipò all'assassinio dei serbi, degli ebrei e dei rom, nonché dei dissidenti croati perpetrato dal regime croato degli Ustascia, operando in particolare modo nel campo di concentramento di Jasenovac un luogo di prigionia definito, in una lettera del 24 febbraio 1943 dal Cardinale Alojzije Viktor Stepinac indirizzata al capo dello Stato Ante Pavelić una “vergognosa macchia per lo Stato Indipendente Croato. Per la sua crudeltà gli vennero attribuiti gli epiteti di “Il diavolo di Jasenovac” e di “Fratello Satana”.

(…) Nel 1941, dopo la costituzione dello Stato Indipendente di Croazia, uno Stato fantoccio instaurato dalle Forze dell'Asse che abbracciava la Bosnia-Erzegovina e la maggior parte della Croazia, Filipović ricevette l'ordine di affiancare un cappellano militare in una città nel nord dell'Erzegovina, ma non assunse mai l'incarico. Solo nel gennaio 1942, dopo aver completato i suoi esami teologici a Sarajevo, divenne cappellano militare degli Ustascia.

Filipović, meglio conosciuto come Tomislav Filipović-Majstorović, venne assegnato al battaglione del corpo di guardia di Poglavnik II dove iniziò la sua attività. Secondo le dichiarazioni di due testimoni e di un generale tedesco il 7 febbraio 1942, Filipović accompagnava i membri del suo battaglione in un'operazione volta a cancellare i serbi nell'insediamento di Drakulić, nella periferia settentrionale di Banja Luka e in due villaggi vicini, Motike e Šargovac. In questa operazione più di 2.300 civili serbi furono uccisi.

Secondo i rapporti inviati a Eugen Dido Kvaternik, capo del servizio di sicurezza interna dello Stato, dal suo ufficio di Banja Luka e datati 9 e 11 febbraio 1942, risultò che le vittime a Šargovac comprendevano 52 bambini uccisi nella scuola elementare del villaggio. Due insegnanti che sopravvissero alla strage della scuola: Dobrila Martinović e Mara Šunjić, testimoniarono contro Filipović al suo processo postbellico a Belgrado. Nella loro deposizione dichiararono che Filipović non solo partecipò attivamente ai crimini, ma invitò i suoi colleghi Ustacia ad agire con estrema crudeltà. In particolare Filipović, soprannominato dalle sue truppe “il glorioso”, venne accusato di aver ordinato che i ragazzi serbi della scuola venissero portati davanti a lui e con un altro sacerdote collaborazionista, padre Zvonimir Brekalo, uccisero gli studenti sgozzandoli uno alla volta. Altri episodi crudeli, raccontati da testimoni oculari, videro il religioso come protagonista.

(…) Dopo la sospensione e la riduzione allo stato laicale, venne arrestato e inviato al campo di concentramento di Jasenovac. Attraverso l'intervento diretto di Vjekoslav Luburić, responsabile dell'amministrazione del sistema dei campi di prigionia, Filipović fece carriera all'interno del campo: da prigioniero divenne capo-guardia, responsabile delle esecuzioni, poi luogotenente del comandante Ljubo Miloš e successivamente, per alcuni mesi, coprì il ruolo di direttore del campo principale pro-tempore fino al ritorno dello stesso Matković.

Dalla fine del 1942 e fino al 27 marzo 1943 venne inviato a dirigere il Campo di Stara Gradiška. Il sotto-campo di Stara Gradiška, attivo sin dall'estate 1941 come prigione per politici, fu convertito in campo di concentramento per donne e bambini dall'inverno 1942 all'aprile 1945. È tristemente famoso per le brutali condizioni cui furono condannati i prigionieri. Vi trovarono la morte serbi, ebrei e zingari. Il numero delle vittime è 13.000, per la maggior parte bambini serbi.

Tornato nell'aprile del 1943 a Jasenovac, collaborò con i suoi superiori alla gestione del campo fino alla fine della guerra. Nel 1946 Filipović fu portato a Belgrado per essere giudicato da un tribunale civile per i suoi crimini di guerra. Durante il dibattimento collaborò con il collegio giudicante ammettendo la sua partecipazione ad alcuni degli episodi raccontati dai vari testimoni, ma negando il coinvolgimento in altri. Tra l'altro dichiarò di aver ucciso personalmente almeno 100 prigionieri e di essersi attivato durante la sua permanenza nei campi di concentramento per l'eliminazione di circa 30.000 internati. La corte lo dichiarò colpevole degli atti ascrittogli, condannandolo a morte per impiccagione. Il giorno dell'esecuzione indossava le vesti dell'ordine francescano.

Fabio Casalini

Commenti

Etichette

Mostra di più