Marielle Franco

LA STORIA DI MARIELLE FRANCO, UCCISA PERCHÈ DENUNCIAVA LA VIOLENZA DELLA POLIZIA SULLA GENTE DELLE FAVELAS

Vivere in una favela brasiliana spesso vuol dire vivere una non-esistenza. Significa essere vittime a più livelli e di più sistemi. Vittime della povertà diffusa e del mancato accesso ai servizi, anche quelli più elementari. Vittime dei narcotrafficanti e dei criminali che la fanno da padroni. Vittime infine dello Stato e della polizia, che vuole semplicemente cancellare le loro esistenze, rimuoverle, come la polvere messa sotto il tappeto in attesa di ospiti importanti.

Marielle Franco in una favela ci era cresciuta e ci aveva visto morire una sua amica, uccisa nel 2000 da un proiettile vagante. Fu quella pallottola che portò una ventunenne Marielle a interessarsi dei diritti umani nelle aree più difficili del Brasile.

Ma facciamo un passo indietro: parlavamo di polvere sotto il tappeto. Le favelas, in occasione dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, erano proprio quella polvere, un elemento dissonante nella falsa normalità di un Paese che sarebbe stato sotto i riflettori del mondo. E così, per cancellare quella polvere, lo stato brasiliano usa i metodi di sempre. Centinaia di morti in operazioni di polizia che trasformano i quartieri più poveri di Rio de Janeiro in un campo di battaglia.

Proprio di queste operazioni aveva parlato, nella sua tesi, Marielle Franco, stufa di quella retorica sulle favelas ammantata di parole come ordine e sicurezza che nascondevano solo il sangue e la violenza a danno degli ultimi e delle ultime. Soprattutto le ultime: le donne delle favelas erano tra coloro che soffrivano di più la violenza delle istituzioni. Spinta dalla morte della sua amica Marielle iniziò, come detto, ad occuparsi di diritti umani ed entrò anche nell’assemblea legislativa dello stato di Rio de Janeiro. La sua fu una voce costante contro i continui abusi di polizia e militari contro le donne, i bambini e tutte e tutti gli abitanti delle favelas. Ma non solo. Il suo impegno mirava anche a difendere i diritti della comunità LGBT, portando avanti importanti battaglie a favore delle e dei transessuali, e in tutti gli ambiti delle lotte femministe, dall’aborto alla disparità di salario. Battaglie che davano molto fastidio a chi voleva che Marielle non mostrasse a tutti dove finiva la polvere in Brasile.

La sera del 14 marzo 2018 l’auto dove viaggiava venne affiancata da un veicolo dal quale partirono numerosi colpi d’arma da fuoco. Lei e l’autista vennero uccisi senza pietà. I bossoli furono collegati alle armerie della polizia di Rio: molti mesi dopo vennero arrestati i responsabili materiali del delitto, due vigilanti vicini ad ambienti della polizia e della destra brasiliana.

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