La malattia dell’olmo
Se ti importa che ancora sia estate eccoti in riva al fiume
l’albero squamarsi delle foglie più deboli:
roseogialli petali di fiori sconosciuti
– e a futura memoria i sempreverdi immobili.
Ma più importa che la gente cammini in allegria
che corra al fiume la città e un gabbiano avventuratosi
sin qua si sfogli in un lampo di candore.
Guidami tu, stella variabile, finché puoi…
– e il giorno fonde le rive in miele e oro
le rifonde in un buio oleoso fino al pullulare delle luci.
Scocca
da quel formicolio un atomo ronzante,
a colpo sicuro mi centra dove più punge e brucia.
Vienmi vicino, parlami, tenerezza,
– dico voltandomi a una vita fino a ieri
a me prossima oggi così lontana
– scaccia da me questo spino molesto,
la memoria: non si sfama mai.
È fatto – mormora in risposta
nell’ultimo chiaro quell’ombra
– adesso dormi, riposa.
Mi hai
tolto l’aculeo, non il suo fuoco
– sospiro abbandonandomi a lei
in sogno con lei precipitando già.
— Vittorio Sereni
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