Una vita di lavoro

Insieme, i pensieri del “non ancora, ma deve essere fatto”, del “dovrebbe già essere stato fatto”, del “potrei fare qualcosa di più produttivo” e la “prossima cosa da fare”, sempre in agguato, cospirano come nemici per tormentare l’individuo che, di default, si ritrova sempre indietro in un adesso che non sarà mai completo. Inoltre, ci si sente in colpa non appena non si è il più produttivi possibile. Il senso di colpa, in questo caso, è diretta conseguenza del non essere riusciti a stare al passo o a gestire al proprio meglio le cose, travolti dagli incarichi per una presunta negligenza o un ozio relativo. Infine, il costante, assillante impulso a portare al termine i propri compiti implica che è empiricamente impossibile, proprio per questo modo di esistere, fare un’esperienza completa della vita. 

Dall’articolo "Una vita dominata dal lavoro vale la pena di essere vissuta?

di Andrew Taggart


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