Non mancherò la strada

Amici miei,  quando dicevamo – certo, a notte fonda – che non ci saremmo allineati, che avremmo ribaltato tutto, che non avremmo smesso di ribaltarci, lo pensavamo per davvero?  Quando dormivamo sulle panchine, e ancora dormienti prendevamo il primo treno, impedendoci di sapere dove fosse diretto, e ancora dormienti leggevamo versi al controllore, e i binari erano dalla nostra parte e noi dalla loro, e dicevamo che non ci saremmo svegliati se non nei pressi dell’ultima stazione, lo dicevamo per davvero?  Quando organizzavamo feste senza ragione, e a tutti era vietato portare doni, e i primi a essere invitati erano i solitari, poi gli afflitti, quindi i disperati, e se rifiutavano si andava a prelevarli con leggerezza dai loro nascondigli, si stava in spiaggia in prato o in vetta o in una piazza senza nome ad aspettare che facesse luce, e ci si amava molto ad occhi chiusi, e dicevamo che non avremmo mai lasciato indietro nessuno, lo dicevamo per davvero?  Quando non firmavamo contratti, non entravamo in banca, dividevamo i letti con gli sconosciuti, rispedivamo al mittente le raccomandate, e qualsiasi campanello suonassimo la porta si apriva in meno di un minuto, e facevamo roteare per interi pomeriggi di pioggia i mappamondi, puntavamo un posto a caso e il nostro zaino verso quel punto si dirigeva prima ancora che noi potessimo collocarlo nello spazio, e i viaggi erano tutti di sola andata e non c’era uno, ma nemmeno uno o mezzo tra noi che si informasse sul ritorno, e dicevamo che mai saremmo invecchiati in un ufficio, che mai saremmo stati ingoiati da una stanza, lo dicevamo per davvero?  Quando la nostra occupazione era immaginare ciò che non può essere comprato, e riponevamo fiducia nei visionari, studiavamo non per interesse ma per progettare ciò che i più ritenevano impossibile, e più era impossibile più studiavamo alacremente, e se vincevamo il nostro pensiero istantaneo era per lo sconfitto, se perdevamo altri di noi accorrevano a festeggiarci, e se incrociavamo per la strada un relitto, uno scarto, ciò che restava di un uomo, qualsiasi cosa stessimo facendo ci fermavamo per ricomporne i pezzi, e un amico poteva arrivare a qualsiasi ora, in qualsiasi stato di infelicità, e lo avremmo custodito come si custodisce un mistero, e dicevamo che non avremmo permesso alcun abbandono, alcuna perdita, alcuna desolazione, tutte quelle parole le dicevamo per davvero?  E infine, quando dicevamo che avremmo lottato con tenacia, che non avremmo mollato la presa, che lo avremmo fatto senza esibire i canini, e che non ci saremmo arresi alle evidenze della norma, che avremmo perseguito con splendente ostinazione i nostri talenti, che avremmo fatto un lavoro degno, che avremmo lavorato non per consumare, non per farci consumare, che avremmo continuato a sognare più di giorno che di notte, che non ci saremmo blindati in una casa, che se mai avessimo fatto dei figli li avremmo lasciati liberi al più presto, che sui figli non avremmo riversato i nostri fallimenti, che ci saremmo opposti alle ingiustizie senza vacillare, che non avremmo sfruttato, che non ci saremmo fatti sfruttare, che avremmo dedicato ogni mattina a una scoperta, che non avremmo diviso le strade in buone e cattive ma solo in base alla loro ampiezza, e quando dicevamo – certo, a notte fonda – che avremmo vissuto ogni momento come fosse quello definitivo o quasi, senza rimandare, senza cercare giustificazioni inverosimili, tutte quelle parole precise le dicevamo per davvero? Davvero le dicevamo a voce alta, a voce piena, o solo tanto per dire? Tutte quelle parole, amici miei, oggi dove si trovano, come si trovano, riuscirebbero a trovarci?

(Tratto da "non mancherò la strada", Luigi Nacci)


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