Devianze

Ho conosciuto da molto vicino una persona che ha provato sulla sua pelle l'anoressia. La nostra era una storia clandestina nata su un luogo di lavoro. Si consumava nelle pause pranzo che lei saltava sistematicamente. Sottoponeva il suo fisico a ritmi forsennati, tenendosi su con il caffè che beveva senza moderazione e le sigarette. A cena, fuori orario, diceva che le bastava un'insalata, di quelle con le verdure crude e basta, senza carboidrati, senza proteine. Una delle domande che ripeteva più spesso, appena si materializzava un po’ di confidenza, era: “Mi trovi ingrassata?”. Imparai in fretta che “Ma che cazzo dici?” non era una risposta, anche se era così magra che dalle maniche lunghe delle maglie che portava d’estate e d'inverno si vedevano gli spigoli di radio e ulna e le vene in rilievo. Anche se il suo corpo nudo, quando quei vestiti glieli levai io nella cucina immacolata della sua casa, era fatto di spalle esili e strette, della curva delle clavicole a tendere la pelle, delle costole che si potevano contare a vista, del bacino che interrompeva bruscamente la vita prosciugata. “Mi trovi ingrassata?” Chiedeva. Poi, scherzando sulle sue curve quasi appena accennate, sorrideva: “Non ho ancora trovato uomini che non sapessero dove mettere le mani”. E da quelle frasi trapelava il desiderio di piacere, di essere apprezzata, che almeno qualcuno lo facesse al posto suo dato che lei non ci riusciva. Io ero così diverso da lei, sempre fuori forma, con la pancia a nascondere bene i muscoli addominali. Diceva che ero sensuale. La mia morbidezza e i suoi spigoli s'incastrarono per un po’. E succedeva che, con i nostri corpi ancora seminudi, le bocche che sapevano dei nostri umori si lasciassero andare a confidenze. Mi accennò della clinica dove venne curata, quando era ancora più magra di come la vidi io. Mi disse che allo stress lei reagiva vomitando. Anche senza aver mangiato. Anche dopo essere uscita dalle terapie. “Sai, non si guarisce mai dei tutto” mi confessò. Ed è il messaggio che mi è rimasto più impresso. Ho imparato quanta attenzione sia necessaria nelle parole quando chi hai di fronte ha avuto a che fare con un disturbo alimentare. Ho capito che i miei occhi saranno sempre diversi dai suoi quando si guarda allo specchio, che quello che vede lei è sempre troppo, inadeguato, da cambiare a viva forza. Ho capito che si può stare vicini ma che non si può risolvere e che l'unico aiuto facile e non dannoso è una mano tesa, e la delicatezza di non affondare mai la lama su quelle ferite.


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