Due di due

Un pomeriggio freddissimo di dicembre io e Guido stavamo andando a una riunione, e abbiamo sentito un botto cupo che ha fatto vibrare la strada sotto i nostri piedi, i muri delle case tutto intorno. Non capivamo cosa potesse essere; qualcuno tra i passanti sosteneva che era scoppiata una caldaia.

Alla televisione la sera hanno detto che una bomba era esplosa in una banca del centro e aveva ammazzato decine di persone; la polizia stava facendo indagini ma non c’erano dubbi sul fatto che si trattava di un attentato politico. Lo speaker usava il più drammatico dei toni nel suo repertorio: nero di esecrazione come se conoscesse bene i colpevoli anche se non poteva farne i nomi.

Il giorno dopo a scuola abbiamo visto i giornali: fotografie spaventose di resti umani e sangue e legni frammentati e calcinacci nell’interno devastato della banca; le piccole fototessere incolonnate dei morti, gli elenchi dei feriti. E al fondo di tutti gli articoli, come nella voce dello speaker televisivo la sera prima, c’era un’accusa sorda verso chi negli ultimi anni si era azzardato a mettere in discussione l’ordine delle cose.

Subito la polizia ha arrestato un anarchico che non c’entrava niente, tirato fuori testimoni prefabbricati che giuravano di averlo visto portare la bomba in banca. Di colpo è sembrato che chiunque aveva opinioni sovversive fosse corresponsabile di questa storia orribile, almeno sul piano morale. L’accusa sorda si è trasformata in una vera ondata di ritorno, che la televisione e i giornali hanno propagato con furia liberatoria, contagiando tutti quelli che avevano a lungo covato risentimento senza il coraggio di mostrarlo.

Di mattina siamo andati tutti in corteo fino a piazza del Duomo, io e Guido tra gli anarchici arginati in fondo come appestati. L’enorme piazza agghiacciante era già occupata da migliaia e migliaia di persone normali addossate una all’altra, grigie e silenziose nella nebbia cittadina carica di veleni. Era la prima volta che vedevo così tanta gente radunata senza alcun suono, senza alcun movimento; l’atmosfera gravava sullo spazio in modo quasi intollerabile, congelava sul nascere ogni espressione.

Guido era desolato, guardava la folla muta intorno alla grande cattedrale annerita; ha detto «Che cavolo». 

Andrea De Carlo, Due di due, Bompiani (collana Tascabili n° 956), 2006⁸ [1ª ed.ne 1989]; pp. 103-104.

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