Contro l'amore

Non c’è nulla di più odioso di chi ti VUOLE amare. Non c’è nulla di più devastante di chi ti VUOLE aiutare. Non c’è nulla di più soverchiante di chi ti vuole portare sulla retta via, “per amore”. Non c’è nulla di più perverso di chi ti vuole coinvolgere in quello che a lui piace per rassicurarsi che anche tu possa rientrare nel suo gregge, senza infastidire. Non esiste falsificazione sociale più stomachevole della propria, tentata o riuscita, legittimazione, o autoinganno (nei propri confronti e degli altri) mettendo in scena la retorica dell’amore per farsi i cazzi propri in stato allucinatorio, ebetamente “felice”. Quello che oggi chiamiamo generalmente “amore” è il volto sociale dell’egoismo. Alla base dei più efferati delitti c’è “l’amore”. I femminicidi hanno come inconscio supporto teorico “l’amore”. Così come gli esuli di famiglie sfasciate replicano, per bovina coazione a ripetere, gli stessi deliri dei fallimenti precedenti: e lo fanno “per amore”.  Ecco che “amore” è il senhal (il travestimento linguistico) dell’egoismo, tanto che, rifiutato, si trasforma sempre nel suo opposto.  “Solo il dittatore si riempie la bocca della parola ‘amore’”, scriveva Jacques Lacan ma questa semplice realtà quotidiana perpetuata non può passare.  Secoli fa, con i termini “Fede, speranza e carità”, si intendeva “amore” in senso non coercitivo, non allucinatorio. In un’altra cultura, quella greca, “amore” aveva diverse definizioni: “Agàpe”, per Socrate, indicava “amore” in senso opposto a quello violento e prevaricante di oggi, reso ugualmente dal latino “fraternitas” o meglio ancora “sororitas”. Non abbiamo oggi corrispettivi reali per queste parole ma le si può esprimere con frasi, ad esempio: “accettazione dell’altro e della sua libertà”. “Libertà” intesa nei reciproci limiti che regolano l’accoglimento dell’altro come Altro e non come membro dell’amoroso gregge o del proprio “amoroso” ego. 

  Aldo Nove


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