Passaggio in ombra

Sulla porta d’ingresso – tornando a casa dai miei soliti giri - una voce assorta mi ha sorpresa, con le chiavi a mezz’aria, e ha sussurrato parole che si sono propagate dentro me. Quando ogni parte del mio corpo ha ripetuto la sua eco, la voce ha detto: “Il futuro! Da quanto tempo sei senza futuro?” e la potenza di questa domanda si è abbattuta su di me come una bufera.

Sono rimasta senza fiato, percorsa da brividi che conosco e che – irradiandosi dalle ossa – giungono fino alla radice dolente dei capelli. Impallidisco, mentre il cuore accelera il suo ritmo e mescola colpi duri e sonori a fremiti veloci e vuoti, come il battito di un’ala.

Cos’è mai questo attimo che giunge sconosciuto un attimo dopo il pensiero, e che si sposta all’infinito modellando le mie paure? Esso mi attanaglia nella sua ansia incomprensibile, e le forze non bastano per percorrerlo tutto, come un lungo tunnel buio dove non si vede l’uscita.

Il futuro non è la morte, poiché questa non ha bisogno di assensi per compiersi; il futuro, invece, è questo tempo incompiuto che ci aspetta, inesorabilmente simile a noi: a ciò che siamo stati, e a quello che non saremo. Esso scava le rughe che lo specchio rimanda, ed è minaccioso e potente; allo stesso modo non cessa mai di esercitare il suo richiamo e ci sfida con promesse e lusinghe, o ci minaccia col suo terrore incalcolabile. Io non ho alcuna intimità con il mio futuro, che mi coglie eternamente impreparata; i “domani” di cui è fatto scavano dentro me un vortice di vuoto: come un abisso sul quale mi affaccio e che mi risucchia nella sua vertigine. Se ripenso alla mia vita, è stato sempre così; seppure le forme che ha assunto nella coscienza sono sembrate all’apparenza diverse, e perfino opposte.

Per un certo tempo, nella giovinezza soprattutto, ho bruciato del fuoco che l’avvenire sconosciuto accende negli animi ingenui.

Allora mi sembrava che il futuro fosse un pianeta imperscrutabile e che vi si potesse giungere solamente per malia o a opera di un sortilegio. Se piangevo, se i giorni mi venivano incontro dolorosi o inutili; se mi sembrava che non ci fosse niente ad attendermi lungo la strada, il futuro sfavillava dinanzi a me come un sole o come un disco volante.

Esso era imponderabile nelle sue scelte e nella necessità di un arbitrio assoluto che assecondava misteriosi percorsi, slegati da ogni altra umana ragione. Dunque, avrebbe potuto accadere che una stella particolarmente benevola mi guidasse per suo piacere e che – sulla scia luminosa di un privilegio senza spiegazioni – quando fossi giunta nel punto e nel luogo del futuro, si sarebbero svelate bellezze, riservate a me sola.

Adesso che l’inconoscibilità del mio avvenire mi atterrisce con lo spauracchio dei suoi inganni e devo compiere ogni sforzo per serrare le porte ai suoi richiami, la mia unica salvezza è un luogo dove ogni futuro si è già compiuto.

Così torno al passato, e incontro la fanciulla che fui; la seguo mentre serba nel cuore la vanità immancabile di un amore eterno. “

Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 209-210.  

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