La luna e i falò

Qualche anno dopo - stavo già in America - mi accorsi che per me quella gente era tutta bastarda. A Fresno dove vivevo, portai a letto molte donne, con una fui quasi sposato, e mai che capissi dove avessero padre e madre e la loro terra. Vivevano sole, chi nelle fabbriche delle conserve, chi in un ufficio - Rosanne era una maestra ch'era venuta da chi sa dove, da uno stato del grano, con una lettera per un giornale del cinema, e non volle mai raccontarmi che vita avesse fatto sulla costa. Diceva soltanto ch'era stata dura - a hell of a time. Glien'era rimasta una voce un po’ rauca, di testa. È vero che c'erano famiglie su famiglie, e specie sulla collina, nelle case nuove, davanti alle tenute e alle fabbriche della frutta, le sere di estate si sentiva baccano e odor di vigna e di fichi nell'aria, e bande di ragazzi e di bambine correvano nelle viuzze e sotto i viali, ma quella gente erano armeni, messicani, italiani, sembravano sempre arrivati allora, lavoravano la terra allo stesso modo che in città gli spazzini puliscono i marciapiedi, e dormivano, si divertivano in città. 

Di dove uno venisse, chi fosse suo padre o suo nonno, non succedeva mai di chiederlo a nessuno. E di ragazze di campagna non ce n'erano. Anche quelle dell'alta valle non sapevano mica cos'era una capra, una riva. Correvano in macchina, in bicicletta, in treno, a lavorare come quelle degli uffici. Facevano tutto a squadre, in città, anche i carri allegorici della festa dell'uva. Nei mesi che Rosanne fu la mia ragazza, capii ch'era proprio bastarda, che le gambe che stendeva sul letto erano tutta la sua forza, che poteva avere i suoi vecchi nello stato del grano o chi sa dove, ma per lei una cosa sola contava - decidermi a tornare con lei sulla costa e aprire un locale italiano con le pergole d'uva - a fancy place, you know - e lì cogliere l'occasione che qualcuno la vedesse e le facesse una foto, da stampare poi su un giornale a colori - only gimme a break, baby. 

Era pronta a farsi fotografare anche nuda, anche con le gambe larghe sulla scala dei pompieri, pur di farsi conoscere. Come si fosse messa in mente ch'io potevo servirle non so; quando le chiedevo perché veniva a letto con me, rideva e diceva che dopotutto ero un uomo (Put it the other way round, you come with me because I’m a girl). E non era una stupida, sapeva quel che voleva - solamente voleva delle cose impossibili. Non toccava una goccia di liquore (your looks, you know, are your only free advertising agent) e fu lei che, quando abolirono la legge, mi consigliò di fabbricare il prohibition-time gin, il liquore del tempo clandestino, per chi ci avesse ancora gusto - e furono molti. Era bionda, alta, stava sempre a lisciarsi le rughe e piegarsi i capelli. 

Chi non l'avesse conosciuta avrebbe detto, vedendola uscire con quel passo dal cancello della scuola ch'era una brava studentessa. Che cosa insegnasse non so, i suoi ragazzi la salutavano gettando in aria il berretto e fischiando. I primi tempi, parlandole, io nascondevo le mani e coprivo la voce. Mi chiese subito perché non mi facevo americano. Perché non lo sono, brontolai - because I’m a wop - e lei rideva e mi disse ch'erano i dollari e il cervello che facevano l'americano. Which of them do you lack? qual è dei due che ti manca? 

Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi (collana Nuovi Coralli n° 15), 1972; pp. 111-12. [ 1ª edizione: Einaudi, 1950 ]

Commenti

Etichette

Mostra di più