Corpi celesti
Il maestro Mamduh ci insegnava tutte le materie. La nostra era una classe di soli maschi, ma a volte Zayed si intrufolava nell’aula di prima dove, oltre ai maschi, c’erano quattro ragazze, tirava i capelli a una a caso e poi scappava via. Questo finché Khawla è andata a lamentarsi da suo padre e ‘Azzan l’ha fatto smettere. Una volta stavamo studiando la Sura del diffamatore e ripetevamo i versetti: Badi bene il diffamatore, il denigratore, che ammassa denaro, lo conta e lo riconta e pensa che il suo denaro lo renda immortale [Corano, 104:1-3] e Zayed si è girato verso di me e mi ha guardato malissimo. E mentre il maestro Mamduh recitava la sua filippica contro i ricchi che accumulano denaro e i mercanti che accumulano oro, lui, Zayed, quasi mi inceneriva con le sue occhiate di fuoco. E così, il giorno in cui il maestro Mamduh ci ha chiesto che lavoro facevano i nostri padri – e lui le risposte già le conosceva – io mi sono sentito morire di vergogna e non ho avuto il coraggio di dire che il mio era un mercante. Gli altri rispondevano sicuri: “Contadino, fabbro, contadino, falegname, sarto da uomo, giudice, muezzin, contadino…” e io, invece, sudavo freddo, terrorizzato all’idea di rispondere. Mi sembrava che la parola “mercante” indicasse un orrendo ciccione con la pancia che gli ballonzola, uno che accumula oro e tormenta i poveri. Pensavo che quando tutti avessero scoperto che ero figlio di un uomo ricco – in paese era stato il secondo, dopo Shaykh Sa‘id, a dotarsi di un’automobile – sarei diventato lo zimbello della classe. Zayed ha gridato: “Suo padre è il mercante Sulayman. Il proprietario della Grande Casa, quello che ha campi e terreni da qui fino a Maskade.” Nessuno mi ha preso in giro, però mi sono vergognato come un ladro, non so cos’avrei dato perché mio padre fosse un contadino come la maggior parte degli altri. Durante l’intervallo io e Zayed eravamo gli unici della mia classe a non scendere nello spaccio della scuola, e questo perché non avevamo un soldo da spendere. Per tutte le elementari mio padre è stato irremovibile: lui i dieci centesimi al giorno da portare a scuola non me li avrebbe mai dati. E alle medie, quando finalmente me li ha concessi, gli altri genitori ormai ne davano ai figli venti o trenta e io mi ritrovavo a dover scegliere tra pane e formaggio o un succo Suntop. Ho potuto averli entrambi solo alla fine del liceo.
Jokha Alharthi, Corpi celesti, traduzione dall'arabo di Giacomo Longhi, Bompiani (collana Narratori Stranieri), 2022¹; pp. 76-77. [Edizione originale: سيدات القمر (Sayyidat el-Qamar; Le signore della luna), editore Dār al-Ādāb, Beirut, Libano, 2010]
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