Era ormai domani, quasi
Quando il 20 giugno del ‘44 (voi non eravate nati, magari) arrivarono nella mia città i soldati della VIII^ Armata, assistemmo alla sfilata trionfale. C'erano anche dei ragazzi del posto che avevano combattuto in montagna. Erano i peggio armati, ma i più sorridenti e i più applauditi. Poi, in Corso Vannucci, sfilarono gli Alleati coi loro mezzi. Decine e decine di carri armati che nessuno di noi aveva mai visto prima, fermi come eravamo a quelle scatole di sardine delle nostre patetiche “truppe corazzate”. Macchine da guerra arrivate per noi dal futuro, lucide, efficienti. Tante. Sfilarono per un tempo che ci sembrò interminabile. Uno spettacolo imponente. Man mano che oltrepassavano la piazza della Prefettura, scendevano per l'Alberata. E chi voleva, poteva continuare a seguire quell'interminabile fila di armati e armamenti mai immaginati che arrivava giù in basso fino alla Stazione di Fontivegge. Tra la gente che guardava era diffuso soprattutto lo stupore: c'eravamo andati a mettere contro quelli. Un vecchio scuotendo la testa, indicò l'incredibile sfilata. E disse, con tono avvilito: «Non c'avevano detto un cazzo!».
Enrico Vaime, Era ormai domani, quasi, Aliberti Editore (collana I Lunatici), 2010¹; pp. 77-78.
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