Esiodo

Quando le Pleiadi, figlie di Atlante, s'innalzan nel cielo, tu comincia il raccolto, e quando tramontano, comincia anche a coltivare il campo. Esse invero per quaranta notti ed altrettanti giorni stanno nascoste, poi di nuovo col volgere dell'anno ricompaiono subito quando si affila la falce. Questa è la legge dei campi […]. Nel tempo in cui la sferza del sole pungente perde l'ardore che rende l'uomo molle di sudore, quando Zeus onnipossente fa venire le piogge autunnali, e le membra dell'uomo si fanno molto più agili —allora infatti la stella Sirio passa sul capo degli uomini destinati a morire, solo per poco tempo durante il giorno, e gode rimaner di più durante la notte —, in quel tempo è del tutto immune dal morso dei tarli il legno del bosco, reciso dal ferro […]. Sta’ attento, quando senti il grido della gru, che dall'alto delle nubi ogni anno schiamazza: essa porta il segnale di arare i campi e annunzia la stagione dell'inverno piovoso […]. Se invece seminerai la terra divina quando il sole volge al solstizio, tu potrai mietere stando seduto, stringendo in una mano lo scarso raccolto […]. Quando Zeus ha fatto compiere sessanta giorni invernali dopo il solstizio, proprio allora la stella di Arturo, dopo aver abbandonato la sacra corrente di Oceano, s'innalza la prima volta nel cielo al calar delle tenebre. E dopo di essa, la figlia di Pandione dall'acuto lamento, la rondine sorge alla luce fra gli uomini, all'inizio della primavera. Tu prima della sua venuta pota i vigneti, perché così è meglio […]. Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e l'Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d'uva e portali a casa […]. Ma se ti prende desiderio della navigazione perigliosa, nel tempo in cui le Pleiadi, fuggendo la terribile possa di Orione, si tuffano nel mare caliginoso, allora invero spirano i soffi dei venti da ogni direzione ed allora tu non tener mai le navi nel purpureo mare, ma ricordati di lavorare la terra […]. Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando è giunta al termine la stagione dell'estate spossante, allora è tempo giusto per i mortali di mettersi in mare; allora tu non perderai in naufragio la nave, né il mare farà perire i tuoi uomini […]. In quel tempo i venti sono costanti ed il mare è sicuro […]. 

Brano tratto da Esiodo, Le Opere e i Giorni, traduzione di A. Colonna in Esiodo, Opere, Torino 1977; testo raccolto in: André Pichot, La nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, traduzione di Marina Bianchi, Edizioni Dedalo (collana Storia e civiltà n° 34), Bari, 1993¹; p. 295. [1ª Edizione originale: La Naissance de la science, Tome I. Mésopotamie, Égypte, Tome II. Grèce présocratique, Éditions Gallimard, coll. Folio/Essai nos 154 et 155, 1991]

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