I fannulloni della valle fertile
– Non vedo in cosa questo matrimonio sconvolgerebbe la nostra vita, disse Serag. – Come fai a non capire! Questa donna può rovinarmi. Una donna vuole sempre vestiti, gioielli, e chissà cos’altro ancora! Un giorno può credersi posseduta dal demonio e voler organizzare una seduta d’esorcismo. Ci vedi a dormire in mezzo a tutte queste ballerine frenetiche? Serag si mise a ridere. L’idea di Rafik lo divertiva come uno scherzo formidabile. – Non ridere, disse Rafik, severo, è molto grave. Tuo padre può perdere sino al suo ultimo millesimo in quest’avventura. Forse saremo obbligati a lavorare! – Ebbene! disse Serag, non chiedo di meglio. – O idiota! Ti pentirai di queste parole. – Te l’assicuro, Rafik, voglio lavorare. – Vuoi lavorare! Mi domando come una tale idea abbia potuto germogliare in te. Sei probabilmente un mostro o un imbecille. In ogni caso, sicuramente non sei della famiglia. – Voglio lavorare, disse Serag con accento disperato. E anche andarmene da questa casa. – Sul mio onore! Sei un ingrato. Se non fossi mio fratello, ti avrei lasciato fare questa follia. Ma ho pietà di te. A proposito, a che punto sta la tua fabbrica? – La fabbrica sta sempre allo stesso punto, rispose Serag. Sono stato a vederla di nuovo stamattina. È come se nessuno volesse finire di costruirla. – Allora finiscila tu stesso, disse Rafik. Ecco un lavoro eccezionale. Di che ti lamenti? – Mi prendi in giro, maledetto! – Ascolta Serag, non ti prendo in giro. Cerco solo di allontanarti da una cattiva strada. Credimi, il lavoro non fa per te, né per nessuno di noi. – Forse, disse Serag. Ma non posso piú continuare a vivere cosí. – Sei giovane. Ho veramente pietà di te. Non sai ancora cosa sia una fabbrica. – E tu, lo sai? – Sí, disse Rafik. Quando studiavo per fare l’ingegnere, ci hanno fatto visitare delle fabbriche. Erano grandi edifici insalubri e tristi. Vi ho passato i momenti piú penosi della mia vita. Ho visto gli uomini che lavorano in quelle fabbriche; già non erano piú uomini. Tutti portavano l’infelicità impressa sul viso. Se ho abbandonato i miei studi, è unicamente per non essere a capo di una tale orda di moribondi. A sentire questa evocazione lugubre, Serag rabbrividí. Chiuse gli occhi; vedeva il suo romantico sogno di lavoro crollare, sprofondare nel dedalo di un dolore incommensurabile. Il lavoro dunque non poteva essere che dannazione e sofferenza. Serag taceva: era in preda a una sorda inquietudine.
Albert Cossery, I fannulloni della valle fertile, traduzione e cura di Giuseppe A. Samonà, Einaudi (Collana Letture n° 69), 2016¹; pp. 59-61. [1ª Edizione originale: Les Fainéants dans la vallée fertile (roman), Éditions Domat, Paris, 1948]
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