I reietti

L’armata in ritirata bruciava i campi e le città del proprio popolo mentre passava. Guerriglieri partigiani tendevano agguati ai militari. I rivoluzionari di Meskti, la capitale, aprirono le prigioni, dando amnistia a tutti i carcerati. Leggendo questo, Shevek sentì il cuore balzargli in petto. C’era speranza, c’era ancora speranza… Seguì le notizie della lontana rivoluzione con crescente interesse. Il quarto giorno, osservando la trasmissione di un dibattito al Consiglio dei Governi Mondiali, vide l’ambasciatore iotico al CGM annunciare che l’A-Io, muovendosi a sostegno del governo democratico del Benbili, inviava rinforzi armati al Presidente Generale Havevert. I rivoluzionari Benbili, in gran parte, non erano neppure armati. Le truppe iotiche sarebbero arrivate con cannoni, carri armati, aerei, bombe. Shevek lesse sui giornali la descrizione del loro equipaggiamento e si sentì male allo stomaco. Si sentiva male ed era incollerito e non aveva nessuno a cui parlare. Pae era fuori discussione. Atro era un ardente militarista. Oiie era un uomo probo, ma le sue insicurezze private, le sue ansie di possidente, lo portavano ad afferrarsi a concetti rigidi di legge e di ordine. Poteva accettare la sua simpatia personale per Shevek soltanto rifiutando di ammettere che Shevek fosse un anarchico. La società Odoniana si definiva anarchica, egli diceva, ma in effetti erano semplicemente dei populisti primitivi il cui ordinamento sociale funzionava senza un visibile governo perché erano pochi e perché non avevano altri stati confinanti. Una volta che la loro proprietà fosse minacciata da un rivale aggressivo, essi si sarebbero dovuti svegliare, e riconoscere la realtà, o sarebbero stati spazzati via. I ribelli del Benbili si stavano accorgendo proprio ora della realtà: stavano scoprendo che la libertà non vale niente se non si hanno dei cannoni per appoggiarla. Egli spiegò queste cose a Shevek nell’unica discussione che ebbero sull’argomento. Non aveva importanza chi governasse, o pensasse di governare, il Benbili: la politica della realtà riguardava la lotta di potere tra l’A-Io e il Thu. – La politica della realtà – ripeté Shevek. Guardò Oiie e disse: – Ecco una curiosa frase, sulle labbra di un fisico. – Niente affatto. Tanto il fisico quanto il politico trattano le cose che sono, con delle forze reali: con le leggi fondamentali del mondo. – Lei mette le sue basse miserabili «leggi» per proteggere la ricchezza, le sue «forze» di cannoni e di bombe, nella stessa frase con la legge dell’entropia e la forza di gravità? Avevo un’idea assai più alta della sua mente, Demaere! Oiie si ritirò da quella folgore di disprezzo. Non disse altro, e Shevek non disse altro, ma Oiie non dimenticò mai l’accaduto. Rimase fissato nella sua mente, da quel giorno in poi, come il momento più vergognoso della sua vita. Perché se Shevek l’illuso e semplicistico utopista l’aveva messo a tacere così facilmente, la cosa era vergognosa; ma se Shevek il fisico e l’uomo che egli non poteva fare a meno di amare, ammirare, a tal punto ch’egli ambiva di guadagnarsene il rispetto, come se fosse, chissà come, un grado di rispetto più appetibile di quello che si poteva comunemente trovare da altre parti, se questo secondo Shevek lo disprezzava, allora la vergogna era intollerabile, ed egli doveva nasconderla, chiuderla a chiave per il resto della propria vita nella stanza più buia della propria anima. 

Ursula K. Le Guin, I reietti dell'altro pianeta, traduzione di Riccardo Valla, Collana Narrativa di anticipazione n.6, Editrice Nord, 1976¹; pp. 175-177. [1ª Edizione originale: The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, Harper & Row, New York City, 1974]

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