Tre incontri
Lei non sapeva parlare italiano, e lo capiva poco. Noi facevamo confusioni in francese, ma quando il nostro amico anfitrione e interprete le presentò un redattore dell'«Unità», la ragazza fece un gesto di nobile sconforto. Come giornalista americana aveva ordine di non parlare nel modo più assoluto con comunisti. La piazzetta di Portofino era piena di macchine, di gente scamiciata, di barche in secco e tavolini di caffè. Ragazzi vendevano carissime collane fatte di nocciole infilate. Tra il nostro storico e la giornalista era cominciata una discussione accanita sulla libertà, a base di «mon dieu» e «m'en fout». Lo storico finì per abbandonare il problema e propose un bagno. Ma siccome per vedere un poco d'acqua bisognava prendere una barca e fare chilometri di remo fino al largo, la proposta cadde subito. La giornalista americana era entusiasta di trovarsi in mezzo ad intellettuali italiani e come io, per sbollirla un po’, cercai di spiegarle che il popolo italiano si divide in scrittori e analfabeti, subito tirò fuori un biglietto da visita e felice ed orgogliosa me ne fece omaggio. A colazione tutti bevvero e mangiarono moltissimo, anche la donna bionda, che da ormai nove mesi era in Italia e perciò pescava i gamberetti con le dita nel piatto e beveva dai bicchieri altrui dicendo «sorry» e ridendo moltissimo. Il motivo dell'incontro e della visita era andato completamente perso e nessuno di noi conosceva ormai le ragioni che l'avevano portata a Portofino. Al caffè successe qualcosa di ibrido, ma solo pochi lo capimmo bene. Poi si andò nel giardino del castello dove la giornalista abitava. C'erano sentieri con meravigliose ortensie viola ed azzurre. Dall'alto si vedeva la stradetta del paese con gente che andava su e giù facendo il chilo, le camicie di fuori e le macchine fotografiche a tracolla. Il cielo era scuro e il mare senza richiami. Passeggiammo a lungo tra le ortensie, chiedendo invano alla donna spiegazioni su McCarthy. Lei rideva e si diceva felice e ubriaca. Poi ci lasciò. E dopo un poco notammo anche l'assenza del nostro anfitrione. Tutti gli amici rimasero sdegnati e delusi quando, partiti alla sua ricerca, lo sorpresero tra i cespugli di ortensie con la cravatta in disordine e il sorriso falso. La giornalista americana si imbellettò subito, ricomponendosi, per accompagnarci fino alla piazzetta gremita di macchine, dove poliziotti venuti da Genova, con la paletta bianca e rossa infilata nel gambale, smistavano il traffico, con bruschi gesti e grida.
Brano tratto dal racconto Tre incontri pubblicato il 28 luglio 1953 sul settimanale Il Mondo, quindi raccolto in: Giovanni Arpino, Storie dell'Italia minore, Mondadori (collana Oscar Originals), 1990; pp. 38-39.
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