Chet Baker

…Chet viveva la propria vita in un mondo tutto suo. Non considerava una tragedia fare una vita da drogato; si iniettava eroina come noi berremmo una tazza di caffè. L'ho sentito tante volte dire che non riusciva a capire come mai la gente lo considerasse particolarmente infelice. Se poteva suonare la sua tromba e prendere la sua eroina, Chet era felice. Le sue sole tragedie erano un batterista che suonasse troppo forte o un pianista che fosse troppo personale. Il resto non gli interessava un granché. Genitori, mogli, fidanzate, amici, venivano tutti dopo le due cose essenziali. Nel corso del processo a Lucca, per il quale passò un anno e mezzo nelle carceri italiane, rimase sinceramente sorpreso del gran rumore attorno a lui; non pensava di aver fatto niente di sbagliato. Andò in prigione e ne uscì come se fosse stato in vacanza; in prigione smise di drogarsi perché la roba non si trovava, poi quando fu rilasciato ricominciò daccapo. Era un essere oltre noi mortali. Questo era Chet credimi…

 (Cecco Maino in “Chet Baker” di Jeroen De Valk)

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