Dino Buzzati 9. VECCHIO FACOCERO

Occorre considerare la psicologia del vecchio facocero. Giunto a una certa età, il cinghiale africano spesso è portato a considerare con disdegno le miserie della vita. Le gioie della famiglia si appannano, i facocerini irrequieti e famelici, sempre tra i piedi, divengono un continuo fastidio; e non parliamo della invadente alterigia dei giovanotti ormai fatti, convinti che il mondo e le femmine siano tutti per loro. Adesso lui crede di essersene andato a vivere da solo per impulso spontaneo, di avere raggiunto il vertice della maestà belluina, vuol convincersi di essere felice. Eppure guardatelo come si aggira irrequieto tra le stoppie, come ogni tanto annusa l'aria sorpreso da improvvise memorie e come risulta sfavorevolmente asimmetrico nel grande quadro della natura che ha fatto tutte le vite a due a due. In realtà ti hanno cacciato via dalla tua famiglia patriarcale, vecchio facocero, perché eri diventato scorbutico e pretenzioso; i giovani avevano perduto ritegno, ti davano colpi di zanna per spingerti da parte, e le donne hanno lasciato fare, segno che anch'esse ne avevano di te abbastanza. Così per giorni e giorni, fino a che tu li hai abbandonati al loro destino. Eccolo qui, nel mezzo della piana di Ibad, mentre si avvicina la sera, intento a spilluzzicare entro una specie di vecchio canneto secco. E attorno non c'è nulla, eccezion fatta per la desolazione del piatto deserto, con aridi termitai qua e là, e qualche piccolo misterioso cono nerastro a fior di terra. Verso il sud, tuttavia, si posson scorgere alcune montagne, veramente troppo lontane; ma sconsigliamo dal crederci, probabilmente si tratta di parvenze vuote, nate solo dal desiderio. Del resto lui non le vede perché gli occhi dei facoceri sono diversi dai nostri. Invece poiché il sole discende, il verro scruta soddisfatto la propria ombra farsi di minuto in minuto più oblunga; e avendo poca memoria, come succede ogni sera, monta in superbia, per l'illusione di essere diventato grande in modo meraviglioso. No, non è specialmente grande rispetto ad altri giovani compagni, ma in un certo senso è magnifico, lui che è una delle bestie più brutte del mondo. Perché l'età gli ha generosamente allungato le zanne, gli ha donato una importante criniera di setole gialle, gli ha inturgidito le quattro verruche ai lati del muso, lo ha trasformato in un mostro corporeo di favola, inerme pronipote dei draghi. In lui ora si esprime l'anima stessa della selva, un incanto di tenebre, protetto da antiche maledizioni. Ma nella testa immonda dovrà pur esserci un barlume di luce, sotto il pelame scabro una specie di cuore. Un cuore che si è messo a battere essendo nel pieno deserto comparso una sorta di mostro nuovissimo e nero; il quale mugola lievemente e si avvicina in modo strano, né correndo né strisciando, come non si era mai visto. Questo mostro è grandissimo, forse più alto di un gazzellone, ma il facocero aspetta, fermo, e lo guarda con intenzioni malvage (benché tutt'attorno, dalle solitudini, stia nascendo un avverso presagio). Anche la nostra automobile si è adesso arrestata. " Che cosa guardi? " faccio al compagno. " Perché hai fermato? Non vedi che è un bue? " " Anche a me pareva " dice lui " ma è un facocero, invece. Aspetta che sparo. " Lo strano mostro che mugola si è taciuto ed è fermo, apparentemente privo di vita. Eppure il facocero ha sentito di improvviso un colpo tremendo; poi un rumore secco e sinistro come di antico albero che crolli, o di certe frane. " Bravo, perdio, L'hai preso! " grido io. " Guarda come si rivolta per terra, guarda che polverone! " Proprio così: attraverso i resti del vecchio canneto, il bestione è stato visto compiere una specie di capriola e rotolarsi in furore. " Macché " fa il mio compagno. " Non vedi che scappa? " Fugge infatti il cinghiale, con la zampa posteriore destra spezzata. Assume un piccolo trotto ostinato, in direzione di est, allontanandosi dal sole morente, quasi timoroso di questa siderale allusione. E il mostro metallico riprende il mugolìo di prima, si mette a corrergli dietro, né guadagnando né perdendo terreno, per via di certi ciuffi di erba morta che ostacolano il cammino. Ora lui è solo e perduto. Né dal cielo vuoto, né dagli ermetici termitai, né da alcuna parte della terra potrà venire il soccorso. La sua ombra personale lo precede, trottando di conserva, sempre più mostruosa ed ambigua; ma oramai essa non serve, l'orgoglio di poco fa gocciola fuori, col sangue, dalla ferita, e resta seminato per via. Ed ecco, ma quanto lontana, al limite di congiunzione fra terra e cielo, mentre la luce lentamente declina, ecco una striscia scura, le acacie spinose, il fiume. Laggiù sono gli altri, lui lo sa bene, tutta la patriarcale famiglia, le mogli, i giovanotti brutali, gli antipatici facocerini. Oh, è inutile negare, forse senza che se ne rendesse ben conto, anche nei giorni scorsi lui ha continuato a seguirli, a distanza, curando di non farsi vedere. Ed è ridicolo, certo ma lui provava piacere ad annusare le loro peste recenti, a riconoscere le orme di questo o di quello; ecco, qui de- vono essersi azzuffati, là hanno fatto scorpacciata di radici, non me ne hanno lasciata neppure una. Reietto, non aveva potuto staccarsi, non era stato capace di vivere solo, presuntuoso vecchio, e adesso l'unica speranza superstite deriva ancora da loro. Ma una seconda fucilata l'ha preso a metà di una coscia, il sole tra poco affonderà sotto terra e dal fiume troppo lontano si avanzano a imbuto tetri abissi di buio. Vediamo, dall'automobile, che il suo trotto si è fatto in un certo senso svogliato e pesante, come se l'istinto ancora lo traesse alla fuga, ma non più sincera velleità di vita. Il deserto del resto sembra divenire sempre più sterminato, allontanandosi anziché approssimarsi il verde segno del fiume. Io dico al compagno: "Guarda, si è fermato, è stanco. Fatti sotto, ci sono ancora pochi minuti di luce ". E siccome noi possiamo continuare la strada (su di noi nessuno ha sparato a tradimento colpi di Mauser con pallottole dilaceranti) siccome noi ci avviciniamo, il facocero comincia a farsi più grande, scorgiamo finalmente il laido volto, le orecchie irte di setole, la molto nobile criniera. Esso è immobile, in piedi e ci guarda con due occhi a spillo. Deve essere oramai esausto, ma può darsi anche sia stato un solingo dio dancalo a trattenerlo, col vitreo scettro di sale, rimproverandogli la viltà della fuga. La canna dello schioppo è già stata disposta secondo l'esatta linea di mira; a questa breve distanza sbagliare sarebbe impossibile, il dito indice si appoggia all'incavo del grilletto. Ed allora (mentre i draghi della notte sopraggiungevano dalle spente caverne d'oriente con la precipitazione di chi teme d'arrivare in ritardo) allora lo vedemmo volgere lentamente il muso in direzione del sole, di cui restava sopra il deserto soltanto una piccola fetta purpurea. C'era una pace immensa e ci nacque l'immagine di una villa ottocentesca alla medesima ora, con le vetrate già accese e affacciata una vaga figurina di donna che tra echi di musica mandasse un sospiro, mentre i cani viziati chiacchierano al cancello del giardino su aneddoti nobiliari e di caccia. Il mugolìo del motore si spense e forse allora, per misericordioso fiato di vento, giunse al facocero la voce dei compagni liberi e felici, rintanati sulle rive del fiume. Era però troppo tardi. Intorno a lui stava per calare l'estremo sipario. Né gli restava più nulla se non dare uno sguardo al sole residuo, come positivamente fece, non già per sentimentali rimpianti, né per succhiarne con gli occhi l'ultima luce, solo per chiamarlo a testimone dell'ingiustizia che si compiva. Quando tacque il colpo della fucilata, esso giaceva sul fianco sinistro, con gli occhi già chiusi, le zampe abbandonate. Sotto i nostri occhi - in alto accendevansi le prime stelle - esalò gli ultimi respiri: due borbottii profondi da vecchio, commisti ai rigurgiti sanguigni. E non successe nulla, non il più sottile spirito si involò dal mostro defunto per navigare nei cieli, neppure una minuscola bollicina. Perché il sapientissimo Geronimo, che di queste cose se ne intende, è disposto ad ammettere un'anima, sia pure rudimentale, al leone, all'elefante e ai più eletti carnivori; nei giorni di ottimismo si mostra benevolmente disposto perfino col pellicano, ma col facocero mai, assolutamente; per quanto insistessimo, egli ha sempre rifiutato di concedergli il privilegio di una seconda vita.

Commenti

Etichette

Mostra di più